«Sacro cuore» con 2 feriti A pagare è l'ex Schütze

di Sergio Damiani

Si chiama «mortaretto d’allegrezza», ma quello che la notte del 13 giugno 2010 fece fuoco sulla cima del Calisio per festeggiare il Sacro Cuore ha portato solo sventura. Quella sera il botto «fai da te» sparato dall’allora comandante della compagnia degli Schützen Kalisberg di Civezzano, Mario Caldonazzi, ferì due persone in modo serio (l’ex consigliere comunale del Patt di Trento Fabio Armellini e il caposquadra dei vigili del fuoco di Civezzano Martino Ciola) lasciando un lungo strascico di guai giudiziari.

Dopo la condanna penale (ancora non definitiva), Caldonazzi ora è stato condannato anche sul fronte civile. E questo rischia di essere il capitolo più doloroso per l’ex comandante dei cappelli piumati che dovrà risarcire Ciola (costretto a cure dolorose, durate 226 giorni) con 67.587 euro, ma anche Armellini (il danno deve essere ancora quantificato ma sarà inferiore visto che la richiesta dell’avvocato Franco Moser è di 36 mila euro). A ciò si aggiunge un «botto» di spese legali per circa 50.000 euro. Insomma, molti soldi che la difesa di Ciola (con gli avvocati Gabriele e Maria a Beccara) si era premunita di far “congelare” ottenendo un sequestro conservativo sulla casa di Caldonazzi fino a 100.000 euro.

Questo, in sintesi, è quanto ha stabilito il giudice Adriana De Tommaso nella sentenza del procedimento in cui sono confluite le due cause civili intentate dai feriti contro Caldonazzi (difeso da una schiera di avvocati: Canestrini, Turella, Guarini, Massara, Battisti). A mettere nei guai l’ex comandante Schützen c’era non solo il fatto che lui stesso quella sera aveva portato sul Calisio il mortaretto. Subito dopo l’incidente si era assunto tutte le responsabilità per l’accaduto salvo poi cambiare versione e chiamare in giudizio quali presunti responsabili due giovani presenti alla serata: Ugo Tomasi e Thomas Arnoldi (difesi dagli avvocati Paolo De Nardis e Giuliano Valer) risultati invece del tutto estranei ai fatti. In sentenza il giudice ricorda che Caldonazzi all’inizio non solo ammise di aver portato lui il mortaretto, raccontando poi che sua era anche la polvere da sparo utilizzata. «Ma a rendere ancor più netto ed inconfutabile il ruolo attivo di Mario Caldonazzi nell’esplosione - si legge in sentenza - stanno le sue stesse dichiarazioni: non posseggo ordigni di alcun genere e per il fatto accaduto sul Monte Calisio mi assumo ogni responsabilità in quanto sono stato io a far esplodere due fuochi artificiali contemporaneamente». Ammissione in cui però dimenticava del mortaretto d’allegrezza. C’è di più. Caldonazzi dando le dimissioni dalla carica di capitano della Compagnia si assunse «tutta la responsabilità del ferimento di Armellini e Ciola e relative conseguenze». Ammissione di responsabilità - si sottolinea in sentenza - che Caldonazzi avrebbe fatto anche di fronte alla madre e alla moglie dei due feriti arrivando ad assicurare di essere disposto a vendere la casa pur di risarcire le vittime.

Poi però, mentre la vicenda imboccava i binari della giustizia civile, l’ex comandante cambiò radicalmente versione tirando in ballo Tomasi e Arnoldi  quali presunti autori dell’accensione del mortaretto. L’ex comandante sostenne di aver assunto in un primo tempo sulle sue spalle tutte le responsabilità, anche quelle di altri, per tutelare la Compagnia Schützen e portò dei testimoni che confermavano questa seconda ricostruzione dei fatti. In sentenza, però, si sottolinea che è «lo stesso comportamento del Caldonazzi a far apparire non credibile la successiva ricostruzione che vede autori dell’accensione Arnoldi e Tomasi, menzionati solo a causa civile iniziata...». I testimoni portati dalla difesa di Caldonazzi secondo il giudice non sono credibili perché essi stessi erano Schützen della stessa compagnia guidata da Caldonazzi «con connesso sentimento di militaresca fedeltà». In definitiva secondo il Tribunale civile, come prima per quello penale, l’unico responsabile è Caldonazzi. Naturalmente è solo il giudizio di primo grado. È possibile l’appello, con il rischio però di un ulteriore salasso in spese legali.

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