Due piante di marijuana nell'armadio, assolti

La Cassazione: è inoffensiva, condanna annullata

di Sergio Damiani

Coltivare in casa due piantine di marijuana per uso personale non costituisce reato. Lo ha stabilito la Sesta sezione penale della Cassazione, che ha annullato la sentenza di condanna emanata nel novembre 2013 dalla Corte d'appello di Trento nei confronti di due ventenni finiti nei guai per aver coltivato in un armadietto-serra della propria abitazione due piante di canapa indiana e per aver detenuto un essicatore in cui c'erano una ventina di foglie di produzione "casalinga".

La Suprema corte mostra di non condividere l'impostazione dei giudici trentini che nella sentenza di condanna avevano sostenuto (in linea con parte della giurisprudenza) come la coltivazione di piante per la produzione di sostanze stupefacenti sia sempre punibile a prescindere dal suo eventuale uso personale. Un'impostazione che agli occhi dei giudici della Sesta sezione penale risulta essere «indubbiamente rigida», ed a questa deve invece essere opposta una valutazione circa l'esistenza di una «offensività concreta» della condotta. Secondo i giudici della Suprema corte la coltivazione casalinga di due sole piantine di cannabis era sostanzialmente inoffensiva per il suo «conclamato uso esclusivamente personale» e della sua «minima entità», tale da escludere «la possibile diffusione della sostanza producibile e/o l'ampliamento della coltivazione» stessa.

Anche se la coltivazione delle piante di marijuana è penalmente rilevante a prescindere dalla destinazione del prodotto e dal grado di maturazione delle piante (e dunque del principio attivo contenuto), spetta al giudice di volta in volta verificare se la condotta contestata sia idonea o meno a «mettere a repentaglio il bene giuridico protetto», cioè la salute pubblica. In sentenza si precisa che la punibilità per i coltivatori casalinghi «va esclusa allorché il giudice ne accerti l'inoffensività in concreto», cioè se la sostanza ricavabile «non è idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile».

Per il caso in questione «va quindi ribadito - si legge nella sentenza 5254 del 2016 - che ricorre la assenza di offensività per quelle condotte che dimostrino tale levità da essere sostanzialmente irrilevante l'aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcuna ulteriore diffusione della sostanza». La sentenza è rimbalzata su molti siti nazionali che si occupano di questioni giuridiche e di stupefacenti, tra gli altri sulle pagine web dell'avvocato Nicola Canestrini, presidente della Camera penale di Trento e Rovereto: «È una sentenza importante, ma purtroppo non definitiva. Su questi temi la Quarta sezione penale della Cassazione ha invece una visione molto più restrittiva rispetto alla Sesta. È necessario che il nodo venga sciolto dalle Sezioni unite».

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