Da Trento al Mali in guerra, l'esperienza di Fabio Pipinato

Fabio Pipinato era in Mali, fino a pochi giorni fa. Alloggiava al «Westland» di Bamako, davanti «al Radisson Blue Hotel» assalito ieri dai terroristi. Nel Mali, in seguito al colpo di stato militare del 2012, i jihadisti hanno preso il controllo del nord del paese, scatenando un intervento armato guidato dalla Francia a inizio 2013. I terroristi che hanno dato l’assalto all’albergo sono jihadisti appartenenti ad Ansar Dine. Negli occhi, Pipinato, presidente di Ipsia del Trentino (l’Istituto delle Acli che si occupa di pace, sviluppo e innovazione) e membro di Unimondo (testata giornalistica online di informazione sui temi della pace, dello sviluppo umano sostenibile, dei diritti umani e dell’ambiente) di cui è stato fondatore e direttore, ha ancora la speranza accesa dall’accordo di pace ieri spazzata via dalle armi da fuoco e dalle granate jihadiste.
 
[[{"type":"media","view_mode":"media_original","fid":"659146","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"944","width":"1040"}}]]
 
Pipinato, per quale ragione si è recato in Mali?
«Ho partecipato, per conto di Unimondo alla conferenza di pace tra la delegazione francese e i gruppi jihadisti. Una conferenza dove il mediatore di pace Sidi Brahim Ould Sidati (nella foto accanto a Pipinato, ndr), rappresentante del governo del Mali, ha lasciato fuori dalla porta l’Isis, cioè i rappresentanti della componente più estremista (della conferenza di pace, della faticosa mediazione per riportare al tavolo delle trattative i Tuareg riuniti nel Coordinamento dei movimenti dell’Azawad, Pipinato ha fornito un resoconto giornalistico per Unimondo, ndr)».
Quali progetti state portando avanti in Mali?
«Stiamo curando dei progetti come Ipsia. Abbiamo realizzato una scuola proprio nella zona di guerra, a 850 chilometri dalla capitale, Bamako, dove c’è stata l’irruzione terroristica e la presa degli ostaggi».
Quando avete realizzato la scuola?
«Nel 2009. È una scuola primaria, fatta su progetto del Ministero dell’istruzione del Mali. Poi è arrivata la guerra in Libia ed i Tuareg filo-jihadisti hanno impugnato le armi - quelle armi che pure il nostro Paese ha paracadutato in Libia - e hanno conquistato il nord del Mali: per capire, basta leggersi il dossier di Beretta sulle armi italiane in Libia».
E con la guerra che fine ha fatto la scuola?
«È diventata un campo profughi. Con la Provincia di Trento siamo riusciti a portare i viveri ai profughi sia della scuola che dei paesi vicini. La scuola funziona ancora, in qualche modo, ma il contesto è di povertà estrema. Non c’è più turismo, non c’è più lavoro: è zona di guerra. È un paradosso: ero andato giù per avviare un progetto di realizzazione di un hotel - l’Hotel della pace - per l’accoglienza dei ragazzi che vanno a scuola, di diverse etnie, e hanno bisogno di alloggio. E nei giorni di permanenza ho appunto potuto partecipare alla conferenza di pace».
In quale clima?
«Di entusiasmo, dopo mille giorni di faticosa mediazione, perché è accaduto un fatto storico: tutti i gruppi jihaidisti (esclusi gli estremisti di Ansar Dine e del Movimento per l’unicità e l’jihaid nell’Africa Occidentale, ndr) si sono seduti attorno ad un tavolo con Francia e Stati Uniti. Mai accaduto in Africa. Solo che poi ci sono stati gli attentati di Parigi e la reazione militare francese. Aver lasciato fuori gli estremisti poteva costare caro. E dopo la reazione francese, i terroristi hanno presentato il conto. Il clima è diventato pesante. Il mediatore ora vive sotto scorta. Arrivato lì, il primo consiglio è stato: parla inglese, parla italiano, ma non parlare francese. E l’albergo assalito è francese, ospita parte del corpo diplomatico francese».
Quale commento si sente di fare?
«Non solo guerra. Si devono aprire spiragli di pace. Ma i fatti di Parigi e la controffensiva militare hanno fatto diventare carta straccia gli accordi di pace in Mali».

comments powered by Disqus