«I bimbi avevano paura di lui» Il padre di Carmela: «Era un violento»

di Nicoletta Brandalise

«Il rapporto tra mia figlia e Marco Quarta, fatto di violenze psicologiche, ricatti, privazioni e sopraffazioni non poteva più essere recuperato. In alcun modo e con la mediazione di nessuno», lo afferma con decisione Matteo Morlino , padre di Carmela, che con grande compostezza compie una lucida e lunga disamina sulla vicenda e il suo tragico epilogo che ha turbato profondamente e per sempre la vita di questa famiglia perbene. «Mia figlia ha sempre cercato di essere positiva. Si è rivolta a chi poteva aiutarla con grande fiducia, soprattutto per il bene dei figli. Quando decise di chiudere ogni contatto col marito, lo fece perché i tentativi di porre rimedio ad una situazione di violenza psicologica continua, e anche fisica qualche volta, ai danni suoi e del figlio maggiore non avevano prodotto alcun risultato. Lui (Marco Quarta, ndr) non ha mai collaborato alla gestione della famiglia, neanche dal punto di vista economico, e non ha mai creduto alla validità di un supporto psicologico. Preconcetti inflitti da una cultura che relega i problemi come se fossero panni sporchi da lavare solo dentro casa».

L'amore di Carmela, lei venuta da Foggia dopo una parentesi di studio in Germania per frequentare l'università a Trento, e Marco Quarta, trasferitosi dalla casa dei genitori a Varese fino a Roverè della Luna da un amico del padre, insinua da subito incertezze nella famiglia Morlino: «Un ragazzo senza amici, solitario che amava giocare alla play station per giornate intere o guardare alla televisione cartoni animati violenti. Senza un lavoro stabile, senza ambizioni. Ma che guardava a Carmela, ci pareva, come ad un oggetto da possedere in esclusiva».

Sono dapprima impressioni di genitori che poi diventano timori fondati con la nascita del primo figlio: «Era come se si sentisse defraudato del suo ruolo. Allora si accaniva sul piccolo, talvolta facendolo penzolare a testa in giù dal terrazzo con la minaccia di farlo cadere: "ti uccido!", gli diceva. Quando mia figlia si allontanava e lo lasciava da solo con lui si divertiva a spaventarlo: "la mamma è morta, ti ha lasciato". L'indole violenta di questo padre aveva fatto intorno al bambino terra bruciata. I suoi amichetti, che dovevano secondo lui (il padre, ndr) essere solo "compagni", non andavano volentieri a casa dei miei nipoti a giocare. Di lui avevano paura. Il bambino aveva paura. Tanto che un giorno disse a mia figlia: "non mi piace questo papà".

Quarta manifestava totale diffidenza ed estraneità verso la famiglia Morlini che rappresentava, un pericolo da cui riparare e che costringeva Carmela spesso a tacere la sua angoscia ai genitori, ad evitare di farli venire in Trentino, a sentirli di nascosto al telefono la sera in macchina mentre rincasava o nella pausa pranzo dal lavoro. «Fino al 16 agosto dell'anno scorso quando nostra figlia ci chiamò in lacrime. Aveva deciso di denuciarlo per maltrattamenti e andare via di casa con i bambini per trasferirsi nell'appartamento di via Lagorai, dove stiamo noi ora. Si barricò tra queste mura facendosi portare da fuori le provviste fino al nostro arrivo. Fummo con lei per oltre un mese. Lui la aspettava ogni mattina sotto casa minacciandola di morte e poi la sera ancora al suo rientro».

Uno stillicidio che sfianca e disorienta fino al provvedimento cautelativo emesso dal giudice che dispone per Quarta l'allontanamento dalla casa familiare. «Si è portato via il ferro da stiro, la biancheria intima di mia figlia e un libretto al portatore del valore di settemila euro, risparmi che avevamo messo da parte per i nostri nipoti». Ma Carmela perché esitò tanto ad andarsene? Cosa la tratteneva accanto al marito? «L'amore per la famiglia, per non privare i figli del padre. Ha sbagliato e io oggi mi rimprovero di non averla costretta a prendere prima questa decisione che forse le avrebbe salvato la vita».

Dov'è secondo lei Marco Quarta? «Potrebbe essere dovunque. Il fatto che ancora non l'abbiano trovato secondo me, dimostra che aveva già in mente un piano di fuga. Che tutto sia stato pianificato con cattiveria e raziocinio. Anche quella sera che ha atteso mia figlia nascosto al buio e l'ha colpita senza pietà. Se non avesse messo al riparo i bambini avrebbe ucciso anche loro. È una mina vagante. Viviamo nella paura che possa ritornare, la nostra casa è presidiata giorno e notte. Colgo l'occasione per ringraziare i carabinieri di Pergine che non ci hanno mai lasciati soli. Né mia figlia prima, né ora noi. Grazie agli assistenti sociali, alle psicologhe che ci seguono passo passo per decidere quale e dove sarà il futuro nostro e dei bambini».

Matteo Morlino, uomo di straordinaria padronanza, cede alla disperazione con un cenno, uno soltanto alle istituzioni che hanno mancato: «Parlo in generale - precisa - non i giudici, non le forze dell'ordine. Le istituzioni che, per mancanza di voglia o efficacia, non sono state ancora capaci di prevenire tragedie come la nostra». Come Carmela, purtroppo ci saranno donne che lasceranno orfani figli, che moriranno per l'amore che si ammala della spinta appropriativa dell'uno verso l'altra oltrepassando il limite, senza più la libertà di tornare indietro.

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