Costretto in casa di cura: moglie e figlia accusate di peculato

Dal conto di un uomo sofferente, ricoverato in una casa di cura per una malattia degenerativa, mancano 14mila euro. Se ne è accorto il giudice tutelare, che periodicamente controlla le  spese: non ci sono né scontrini né ricevute relative ad un determinato periodo; sarebbero dunque sparite le «prove» della somma mancante. Ora la moglie, nominata tutore dell’uomo, e la figlia, che è protutore, sono accusate di peculato e dovranno rispondere dell’appropriazione del denaro della persona malata. Il pm Alessia Silvi ha chiesto il giudizio delle due imputate e la prossima settimana il caso comparirà di fronte al giudice.

Otto anni fa la moglie e la figlia vennero nominate tutore e protutore, da quando cioè  l’uomo è stato dichiarato interdetto dal tribunale di Trento, perché sofferente e non più in grado di provvedere ai bisogni della vita quotidiana.

La malattia, che l’ha colpito quando non aveva neppure 50 anni, è degenerativa: la lucidità mentale e le sue forze fisiche sono venute meno un po’ alla volta; una parabola discendente che lo ha portato ad aver bisogno di un’assistenza 24 ore su 24. L’uomo si trova in una casa di cura; la sua pensione e le  spese per il mantenimento e il benessere, secondo quanto deciso dal giudice tutelare, sono gestite dalla moglie e dalla figlia.

Tuttavia le due donne, per l’accusa, non avrebbero portato al giudice ricevute e scontrini che giustificassero i 14mila euro mancanti dal conto del malato, somma pari all’importo della pensione erogata a favore dell’uomo e alla parte a lui spettante dalla vendita di un immobile. Per il resto erano a posto sia i conti precedenti che quelli successivi.

Moglie e figlia, difese dall’avvocato Marcello Paiar, respingono ogni accusa. Costrette ad un trasloco improvviso e piuttosto «burrascoso», come evidenziano, avrebbero perso il cartone in cui era contenuta la contabilità di quel periodo: per questo mancano gli scontrini e le ricevute relativi solamente a quei mesi. Sarà il giudice a decidere se le accuse siano fondate o meno.

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