Costa Concardia, Schettino condannato a 16 anni e un mese

Francesco Schettino condannato a 16 anni di reclusione e a un mese di arresto per il naufragio della Costa Concordia, ma non andrà in carcere. Il Tribunale di Grosseto ha confermato tutti i reati per cui era accusato, anche quello di abbandono della nave (un anno di condanna compreso l'abbandono di incapaci) e, insieme, naufragio colposo (5 anni), omicidio plurimo colposo e lesioni colpose per i 32 morti e i 157 feriti del disastro (10 anni). Il mese di arresto è per aver dato informazioni non corrette alla capitanerie di porto. In definitiva, molto meno dei 26 anni e rotti che la procura di Grossetoaveva chiesto in requisitoria. Però completamente in linea con i reati di cui il comandante Schettino è stato imputato. Unica cosa respinta alla procura, la richiesta di arresto: non c'è pericolo di fuga - hanno motivato in un'ordinanza i giudici -, né può esserne giustificazione l'eventuale gravità della pena. Quindi niente carcere per l'imputato che è stato interdetto dalla professione di comandante per 5 anni. Schettino e Costa crociere sono stati inoltre condannati in solido a risarcire le parti civili. Tra le provvisionali, 1,5 milioni per il ministro dell'Ambiente, uno per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, 500mila euro per ministeri di Difesa, Infrastrutture, Interni e Protezione Civile. Alla Regione Toscana e al Comune di Isola del Giglio è stata riconosciuta una provvisionale di 300mila euro a testa. Il sindaco Sergio Ortelli ha detto che «sulla provvisionale avremmo auspicato più coraggio da parte del tribunale»: 300.000 euro è molto meno dei 20 milioni di provvisionale chiesti dal municipio dell'isola.


Da segnalare invece sugli anni inflitti a Schettino la dura posizione del Codacons: «Il tribunale di Grosseto sconfessa in modo definitivo l'operato della procura e condanna il comandante Francesco Schettino a 16 anni e un mese di reclusione, ben lontani dai 26 anni e 3 mesi che erano stati richiesti dalla procura». Non ha invece voluto fare nessuna dichiarazione il comandante Gregorio De Falco, che era a capo della Sala operativa della Guardia costiera di Livorno la sera del naufragio, e parlando al cellulare con Schettino gli disse la frase, diventata poi famosa, «Torni a bordo c...». Ha detto De Falco: «Io sono un ufficiale di Capitaneria di porto, e non commento le sentenze dei giudici».


Per Schettinno una giornata terribile, condesata nella drammatica dichiarazione spontanea fatta prima che i giudici si ritirassero per emettere la sentenza. «Ho vissuto tre anni in un innegabile tritacarne mediatico la cui violenza, se non subita, è difficile da comprendere. Questo, unito al dolore per quanto accaduto, rende difficile definire vita quella che attualmente sto vivendo», ha detto Schettino, parlando poi «strategie finalizzate al mio isolamento processuale e personale», «fatte veicolare dai media», «offrendo un'immagine al pubblico che non corrisponde alla verità». «Sono stato accusato di mancanza di sensibilità per le vittime: cospargersi il capo di cenere è un modo per esibire i propri sentimenti. Una scelta che non ho fatto. Il dolore non va esibito per strumentalizzarlo», ha detto ancora l'ex comandante della Concordia. «Sento di dire e, forse non è stato compreso, che il 13 gennaio 2012 sono in parte morto anche io. Dal 16 gennaio la mia testa è stata offerta con la convinzione errata di salvare interessi economici».


«La divulgazione di atti processuali prima che fossero analizzati» fin dall'inizio, fino a questa «fase del processo in cui sono state dette frasi offensive, si avvalora l'immagine di uomo meritevole di una condanna». Poi Schettino ha iniziato a parlare di «momenti di dolore che ho condiviso coi naufraghi a casa mia», ma dicendo questo si è messo a piangere aggiungendo «Non volevo questo», quindi ha interrotto il suo intervento.

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