Quel Pci di Benigni e le care vecchie sigle

Quel Pci di Benigni e le care vecchie sigle

di Paolo Ghezzi

Benigni benedice benevolo: «Buongiorno presidente, buongiorno a tutti amici del cinema, sono salito qui al Colle con tutta la mia allegria. Ci vuole sempre un po’ di gioia, come dice anche Papa Francesco. Sono felice di essere qui come portavoce del partito del cinema italiano, del Pci».

Virzì non è Visconti, Rubini non è Rossellini, De Sica Christian non è De Sica Vittorio, Pif non è Fellini ma in fin dei conti il cinema italiano è ancora vivo e Roberto Benigni può fare il buonista anche perché - «Berlinguer ti voglio bene» insegna - di comunismo il dantesco aretino si intende.

Inoltre la sua esternazione ai David di Donatello in favore del Pci, sebbene schiettamente autocelebrativa come si conviene alle liturgie quirinalizie, ha avuto il merito di far riaffiorare alla memoria una sigla che i ventenni di oggi neppure conoscono. C’erano una volta i comunisti del Pci, i socialisti del Psi, i liberali del Pli, i repubblicani del Pri, gli azionisti del Pda, i socialdemocratici del Psdi, i democristiani della Dc, i proletari del Psiup.

E, in un’Italia in cui le nuove sigle politiche sono già insulse scipite e sciupate, un ritorno ai vecchi acronimi, seppur rivisitati, potrebbe essere salutare.

In fondo, la provincia più ricca ed efficiente d’Italia è governata ininterrottamente, da settant’anni, da un partito che si chiama così da sempre: Svp, partito del popolo sudtirolese. Il popolo c’è ancora, il Sudtirolo pure: e perché si dovrebbe cambiare ogni cinque anni il nome a un partito che in quel popolo si identifica e quella provincia difende?

E allora ben vengano, in ordine sparso: Svp Salvezza valori positivi ma anche Soccorso vedove patriottiche; il Pci Partito compagni irriducibili oppure cittadini intelligenti, caustici indignati o forse cinici indipendenti; il Psi dei sognatori insistenti o dei sacrifici indispensabili ma forse ancora meglio il Psi Partito silenziosi intellettuali, altro che quei prof-psic che dieci minuti dopo i delitti atroci vanno in tv e ci impartiscono prevedibili prediche da prefiche; per rinverdire l’edera della Repubblica ecco il Pri Partito ripresa industriale; per migliorare il pil, c’è il Pli Partito delle libere idee o dei liquidi inciuci; successo potrebbero incontrare il Pda Partito dadaista asburgico o polo decisionista autonomista e il Psdi dei solidi disegni innovativi; la Dc dei demografi civici o dei demonologi critici; il Psiup Partito solitari indisponenti umanamente partecipativi.

Capire che cosa propongono le parti politiche, senza incartare gli antichi nobili nomi in sigle nuove di derivazione pubblicitaria, aiuterebbe forse a tornare a una sana dialettica democratica: in cui si comprenda di nuovo chi sta da una parte e chi sta dall’altra, e si riesca a decifrare una destra, una sinistra, un centro. Dimenticavamo, in chiave trentina, il buon vecchio Pptt, Partito del popolo trentino tirolese.

Se vi dà noia il popolo, il Trentino e magari anche il Tirolo, ecco una versione riveduta e corretta in chiave idealistico-valligiana: Partito pacifista trentatré tesini. Ma ancora meglio, in una botta di ottimismo primaverile: Promettente Provincia Trionfante Trotterà.

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