Linfano di Arco: basta con il cemento

Linfano di Arco: basta con il cemento

di Pierangelo Giovanetti

Il futuro del Linfano, l’unico polmone verde rimasto fra le costruzioni e la fascia lago di Torbole, di cui si discuterà nel consiglio comunale di Arco di domani sera, non è una questione locale. Coinvolge tutta l’opinione pubblica perché è diventato emblema di quale idea di territorio e di sviluppo urbanistico ha il Trentino oggi. La legge urbanistica approvata dal consiglio provinciale ha posto come caposaldo il principio di non consumare più suolo, perché risorsa ormai scarsa in regione, già fortemente compromessa ed essenziale al suo paesaggio, cioè alla sua stessa identità e alla forza del suo richiamo turistico.

La sorte del Linfano è quindi significativa per capire se la legge urbanistica ha voltato pagina rispetto ad un uso scriteriato della cementificazione massiccia, sregolata e fuor di misura di cui l’Alto Garda è uno degli esempi peggiori in regione; o se invece come le grida manzoniane si tratta di parole al vento, perché poi in pratica non contano niente e si continua a cementificare anche una delle aree più belle d’Europa.

La storia del Linfano parte ancora a fine anni ’60 quando si previde in quell’area addirittura un aeroporto con una sua espansione edilizia, che divenne poi l’Arcoporto sognato dall’imprenditore Domenichelli con cubature improponibili, e fu stoppato a livello provinciale negli anni Ottanta perché giudicato devastante, stabilendone la salvaguardia totale (1986). I terreni, a ridosso del biotopo del Brione, coltivati ad agricolo pregiato (celebre è il broccolo di Torbole, presidio slow-food), restavano l’estrema garanzia di sopravvivenza del paesaggio ammirato da Goethe arrivando sul Garda trentino nel suo gran Tour, diventato così immortale nell’immaginario collettivo europeo.

Il Piano regolatore del 2000 recepì tutto questo puntando a rinaturalizzare la fascia lago, salvaguardando il polo verde e agricolo da cementificazioni future. Inspiegabilmente, nella distrazione più totale della Provincia, con Renato Veronesi sindaco di Arco compare una variante che trasforma il verde agricolo protetto in 20.000 metri cubi di edificazione, con tanto di parcheggi, centro acquatico, ristoranti, negozi, spuntati subito come funghi.

L’appetito vien mangiando e il Comune di Arco, sempre con la regia di Veronesi questa volta presidente di Amsa, municipalizzata comunale ora spa, invece di tutelare il resto dell’area verde s’inventa una nuova variante che di metri cubi di edificazione ne prevede addirittura ulteriori 30.000 con centro commerciale (come se non ve ne fossero abbastanza nel Basso Sarca), parcheggi, costruzioni, buttando così a mare il piano territoriale di salvaguardia di comunità di valle, approvato non più tardi di due anni prima dallo stesso comune di Arco oltre che dalla Provincia.

Cosa è cambiato nel frattempo? È cambiato che Amsa, la spa del Comune, aveva acquistato i terreni agricoli e vuole adesso lucrarci sopra costruendoci cemento e supermercati, «perché i 12 miliardi di lire spesi non perdano valore», come ha dichiarato papale papale il sindaco di Arco. In sostanza il sindaco Betta, che dovrebbe indirizzare le politiche di Amsa, ne subisce invece il diktat, facendo di fatto lo scrivano delle richieste del presidente di Amsa Veronesi, che in tal modo ottiene lo scopo stando dietro le quinte, come già gli era successo bene - si fa per dire - nel caso Argentina.

Che il progetto di edificazione di 30mila metri cubi non abbia né capo né coda lo si capisce il giorno dopo che l’assessore provinciale Daldoss lo stronca, parlando di «esagerazione in un’area ambientalmente delicata», e il sindaco Betta risponde: «Vi va bene se lo facciano a metà, di 15mila metri cubi?», come se la metà o il doppio si decidessero così ai dadi, senza un progetto sul fare che cosa con quale obiettivo.

Nel frattempo, in attesa del consiglio comunale di domani, dal cilindro della giunta sono spuntate le ipotesi più disparate in una girandola di uscite sui giornali, prova provata che non si sa dove sbattere la testa. In realtà si vuole semplicemente cementificare per far crescere il valore dei terreni Amsa (che è comunale), ma al di là di quello sul cosa fare è buio più totale. Non si sa come si intenderebbe far fronte all’aumento di traffico veicolare in un crocevia già intasato di auto a non finire, non solo d’estate.

Non si capisce se i parcheggi che si vogliono realizzare sono sostitutivi di quelli in fascia lago, o semplicemente aggiuntivi. Si parla di costruire un supermercato per trasferirvi uno che c’è già. E poi si continua a battere sull’ammodernamento del campeggio comunale, che può essere tranquillamente fatto senza aggiungervi 30.000 metri cubi di cemento. Invece di domandarsi se ha ancora senso che il Comune gestisca un campeggio attraverso la sua Spa, o non sia meglio affidarlo a privati, per esempio il Circolo Vela, che magari lo sanno anche gestire meglio e con maggiore resa economica.

Non sappiamo come andrà a finire domani in consiglio comunale, ma l’unica soluzione possibile oggi è azzerare tutto, e riportare l’intera area sotto tutela come previsto dalla Provincia nel 1986, e come ribadito dallo stesso comune di Arco nel 2000 e poi dal piano territoriale di comunità di valle due anni fa.

Il Comune deve fare il Comune, cioè il garante del bene comune, è non l’esecutore dei progetti del presidente dell’Amsa, che è la controllata non la controllante della giunta comunale.
Se domani il consiglio comunale non tira una riga definitiva sopra questa variante, cancellando ogni pretesa di cementificazione ulteriore, vuol dire che il «caso Argentina» non ha insegnato nulla. Errare humanum est, perseverare diabolicum.

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