Il Trentino non è guarito

Il Trentino non è guarito

di Giuseppe Vergara

Finito il lockdown è tempo di bilanci. Come è giunto il Trentino al termine della fase 1 e al via della fase 2? La risposta viene dai numeri e dalla loro interpretazione. Premessa: i numeri sono oggettivi, l’interpretazione un po’ meno.

In base ai dati della Protezione Civile, il Trentino fa parte, insieme a Liguria, Piemonte e Lombardia, del gruppo di regioni ancora “calde” in quanto caratterizzate da un elevato numero di casi per 100.000 abitanti e da un elevato (relativamente alle altre regioni, beninteso) incremento percentuale di casi. I dati si riferiscono alla settimana tra il 22 ed il 29 aprile. Nell’ambito di questo gruppo di regioni “calde”, il Trentino pare essere la più “calda”. Se consideriamo infatti entrambi gli indicatori, la provincia, in questa classifica “negativa”, è al primo posto per prevalenza di Covid19: 752 casi/100.000 abitanti, un po’ sopra alla Lombardia che ne ha 747/100.000 e ben al di sopra del Piemonte e della Liguria che contano 594 e 509 casi/100.000, rispettivamente, ed è al terzo posto per incremento percentuale di casi (11,6%) dopo Liguria (14%) e Piemonte (13,7%) e prima della Lombardia (8,7%). Il mio augurio è che questi dati possano cambiare al più presto. Se a questi dati aggiungiamo quelli della mortalità (decessi/popolazione), pur con i limiti per stabilire correttamente il numeratore (per la diversa “codifica” usata per attribuire a Covid un decesso), il quadro non cambia. Il Trentino, considerando anche i 108 casi certificati pur in assenza di tampone, di cui si è parlato nei giorni scorsi ( vedi l’Adige del 26 aprile), ha una mortalità di 100/100.000 abitanti (praticamente 1/1.000), che è seconda solo a quella della Lombardia (138/100.000), ben al di sopra di quella delle “compagne” della zona calda, Liguria (76/100.000) e Piemonte (71/100.000), e quasi doppia rispetto al compagno di regione Alto Adige (53/100.000).

Possiamo ora rispondere alla domanda di apertura: il Trentino non giunge bene alla fine della fase 1 ed all’inizio della fase 2. Non mi sembra ci sia consapevolezza di questo nella opinione pubblica, non aiutata in ciò dalle conferenze stampa di Provincia e Azienda Sanitaria che snocciolano numeri su numeri senza un commento “critico” (questo è il mio giudizio personale e parziale, avendo assistito solo ad alcune di esse). Può essere una bizzaria dei numeri, ma una riflessione va fatta. Ora, nella fase 2, siamo soprattutto noi cittadini a dover riflettere perché la riflessione ci induca ad essere prudenti, responsabili e rispettosi delle norme emanate dalle autorità nazionali, provinciali e comunali (con l’augurio che non confliggano tra di esse) e tolleranti per le piccole limitazioni con cui dovremo convivere a lungo. Ma, guardando più in là, alla fase 3, quella della ripresa vera e propria, una riflessione più profonda e volta ad individuare i motivi di questo non brillante risultato del Trentino va fatta dal decisore pubblico e, ancora, dai cittadini tutti. Il primo, il governo della Provincia, per evitare errori nel riprogettare, perché di questo si tratta, il modello di società, di economia e di Servizio Sanitario del Trentino del futuro, i secondi, i cittadini, per “guidare le scelte e vigilare su di esse.

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