La montagna ci insegna a vivere in maniera essenziale

La montagna ci insegna a vivere in maniera essenziale

di Alessandro Beber

Da bambino sono cresciuto sentendomi ripetere spesso questo ammonimento: “prima di parlare, pensaci tre volte e poi stai zitto !”.
Purtroppo l’ultima parte non mi è mai riuscita bene, però quell’esortazione a riflettere prima di aprir bocca ancora oggi la trovo del tutto sensata.

Si, perché è normale avere delle opinioni, ma prima di esternarle non dovremmo scordare l’esistenza di tanti altri contesti, situazioni, esperienze e vissuti personali che per forza di cose modificano e moltiplicano i punti di vista.
Così facendo, le verità da assolute diventano relative e posizioni apparentemente inconfutabili si sgretolano rapidamente.

Questo, trasportato nel contesto attuale dell’emergenza COVID-19, giusto per ribadire che trovare soluzioni a problemi complessi che coinvolgono per intero la nostra società non è un compito facile, né immediato.

Credo quindi che l’esporre le proprie opinioni abbia senso solamente se corrisponde ad una volontà di dialogo, per spronare riflessioni individuali ed aprirsi ad un confronto collettivo. E non certo per sparare a zero sulle posizioni altrui.

Premesso ciò, io che di mestiere faccio la guida alpina e spendo la maggior parte del mio tempo praticando l’alpinismo, tendo istintivamente a riportare le situazioni nel mio contesto abituale, confrontandole con quello che ho appreso tra i monti.

La situazione attuale in qualche modo mi ricorda lo scatenarsi di un temporale improvviso ed inaspettato in alta montagna: la prima reazione, istintiva, è quella di mettersi al riparo da qualcosa di troppo potente per essere contrastato. Magari sotto un grande masso, o in qualche grotta.
Così allo scoppio di quest’epidemia nuova, sconosciuta, comprensibilmente ci siamo protetti cessando ogni attività e tappandoci in casa, impauriti.
Sotto al sasso, intirizziti ma temporaneamente al sicuro, arriva il momento di ragionare, di valutare razionalmente le varie opzioni in campo e le potenziali conseguenze di ognuna.

Sappiamo che ci serve una via d’uscita, non possiamo rimanere lì in eterno, ma cosa possiamo fare ? Si può attendere che passi la perturbazione, nella speranza che sia solo un rovescio passeggero, ma d’altra parte se ci sbagliamo e la bufera è destinata a continuare, rischiamo seriamente di congelarci e morire di freddo.
Ecco allora che l’unica alternativa è muoversi, assumersi dei rischi uscendo allo scoperto, per scendere a valle o portarci al sicuro in un qualche rifugio.
Noi ora ci troviamo all’incirca in questa condizione, e diventa cruciale prendere la decisione giusta. Le uniche deboli previsioni che abbiamo sottomano ci dicono che il maltempo non passerà a breve, ragione per cui se ci lasciamo vincere dalla paura e ci rifiutiamo di esporci al pericolo per portarci in salvo, andremmo incontro ad una morte lenta ma inevitabile.
L’intera società sta stringendo i denti, ma se non ci assumeremo in tempi brevissimi la responsabilità di far ripartire l’economia, per molti equivarrà ad una condanna a morte.

Naturalmente ci sono poi tanti altri aspetti da considerare in questo scenario drammatico, non di certo solo le prospettive economiche… Ad esempio chi sopravviverà, o meglio, chi ha maggiori possibilità di sopravvivenza ? O per essere meno tragici, chi potrà reagire meglio all’attacco di questa malattia ?  In generale, senza addentrarmi in dettagli relativi alle fasce di età, mi verrebbe da rispondere “le persone in buono stato di salute, le persone meno debilitate”. Bene, ma come si raggiunge un buono stato di salute psico-fisico? Come si può evitare, nei limiti del possibile, di debilitarsi nel fisico e/o nella mente ?
Io negli anni ho sviluppato una piccola e semplice teoria…. Niente di nuovo, per carità, è solo una sorta di scala di Maslow ridotta e personalizzata. Però la trovo efficace nell’esporre il concetto e facile da ricordare.

La montagna ci insegna a vivere in maniera essenziale, e soprattutto ci suggerisce come nell’assenza del superfluo sia possibile trovare la felicità. Negli anni, accompagnando migliaia di persone ed osservando le loro reazioni, mi sono interrogato su quali fossero gli elementi fondamentali che consciamente o inconsciamente le spingevano sulle montagne, e che le facevano stare bene.

Sono giunto alla conclusione che gli esseri umani hanno dei bisogni essenziali, cioè imprescindibili alla sopravvivenza, che sono dormire, mangiare, bere, respirare.
A seguire nell’immediato ci sono dei bisogni primari, cioè di primaria importanza per il benessere psicofisico di ogni persona, che sono la socialità in tutte le sue accezioni, la necessità di stancarsi fisicamente (gli sport sono nati appunto per sopperire all’assenza di “fatica” nella vita quotidiana) e il contatto con la natura, intesa come spazio aperto non artificiale.
Sono bisogni intimamente correlati alla nostra origine animale, e anche se la civiltà ci ha portato per svariate ragioni ad ignorarli, non possiamo prescindere da essi se vogliamo stare bene nel senso completo della definizione.

Ora, non voglio dilungarmi troppo, ma in sintesi se la mancanza dei bisogni essenziali uccide sul breve termine, la mancanza dei bisogni primari crea squilibri gravissimi e può uccidere ugualmente, magari solo con tempi più lenti.

Questo giusto per dire che nella pianificazione delle contromisure per combattere una pandemia come quella in atto, i bisogni primari possono essere ignorati solo per un periodo di tempo breve e circoscritto, pena il crollo psico-fisico delle persone.
In quanto uomini abbiamo doti e qualità straordinarie, siamo complessi e resilienti oltre ogni immaginazione, ma rimaniamo pur sempre degli animali, con la specifica di “animali sociali”.
Abbiamo bisogno di respirare all’aria aperta, di stancarci lavorando o facendo sport e di stare assieme con i nostri simili. Non possiamo permetterci di dimenticarlo.

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