Se ci aiuta il tragico ricordo della guerra

Se ci aiuta il tragico ricordo della guerra

di Sandra Tafner

Suonava l’allarme e la gente correva verso il rifugio più vicino, il nemico arrivava dal cielo, una corsa contro le bombe e contro la paura. Era la guerra. Anche adesso ci siamo, una guerra subdola contro un nemico invisibile, non ci sono rifugi per difendersi. E allora bisogna essere coscienti, seguire le regole e nutrire la speranza.

Le ombre entrate nelle nostre case - dice papa Francesco - spariranno.
Intanto la pazienza va esercitata, l’ottimismo stimolato. Pensare positivo, sempre, ogni momento della giornata. L’unica consolazione diventa la solidarietà, la vicinanza seppur virtuale ma sincera, quella che si sente come una carezza tenera e lieve dettata dal cuore.
Pensate come sarebbe bello risvegliarsi da questo incubo e alla fine trovarsi cambiati, diversi, più umani, profondamente convinti che si può vivere la vita in altro modo, senza violenza, senza cattiveria, senza rifiuto dell’altro, senza egoismo. La pietas ormai dimenticata da tempo ripresa tra le mani. Pietas non in senso religioso, ma intesa laicamente come senso del dovere, amore, rispetto, etica, giustizia. Una virtù sociale che dovrebbe far sentire gli uomini in armonia con gli altri e con l’ambiente in cui vivono. Facile, no? In questo periodo ad ogni modo c’è tempo anche per riflettere per chiedersi tanti perché.

È un sogno, ovviamente, ma i bei sogni aiutano a tenere la mente sgombra da pensieri funesti. È un’utopia, ovviamente. e purtroppo non sarà certo un virus a far invertire la rotta. Del resto il “virus” è un parassita che si replica esclusivamente all’interno delle cellule di altri organismi, è il veleno che infetta, questa è la sua missione, tant’è che anche in senso figurato ha assunto il significato di ciò che può scatenare nell’animo passioni e sentimenti negativi. Per questo da lui non possiamo aspettarci niente di buono, semmai potremmo usarlo come insegnamento per quando se ne sarà andato, ma dipende soltanto da noi. È un’utopia e facciamo finta di crederci.

Nel 1988 il giornalista Vincenzo Mollica aveva intervistato Fabrizio De Andrè al TG1, facendogli una domanda proprio sull’utopia: io penso che un uomo senza utopia - aveva detto il cantautore - senza ideali e senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto solo di istinto e di raziocinio, una specie di cinghiale laureato in matematica pura.
Intanto, mentre scienza e medicina stanno dando un esempio eclatante di ciò che significa competenza e di tutto ciò che la pietas comporta, il nemico invisibile ce la mette tutta per resistere agli attacchi. Alle persone viene limitata la libertà e vengono imposte regole necessarie da seguire per poter alla fine avere la meglio, perché sarebbe inutile scrivere su manifesti e lenzuola “andrà tutto bene” se non si facesse quel che si deve fare. Nel frattempo le rinunce saranno un incentivo per riempire la mente di slanci trattenuti, di abbracci rimandati, di corse sulla spiaggia, di cieli stellati in mezzo alle montagne. Chissà che poi si riesca ad apprezzare di più anche le piccole cose, quelle date sempre per scontate.

I nonni e i bisnonni reduci dalle ristrettezze, dalla fame, dalle privazioni, dalla lontananza e dagli spaventi della guerra hanno apprezzato il tempo passato ritrovando il gusto dei sentimenti oltre che delle abitudini. Basterebbe ascoltare i racconti e guardare con attenzione le ombre che passano nei loro occhi per rendersi conto che qualche volta anche dalle esperienze peggiori può rinascere una scintilla.
Evaristo ricorda i compagni morti, la necessità di scappare saltando tra i feriti che chiedevano aiuto, le pallottole che ti sfioravano ma colpivano chi era lì accanto, perché il destino aveva deciso così. Vedrai che tutto si risolverà in pochi mesi, avevano scritto i suoi genitori per fargli coraggio. Ma non fu così. Anche questa l’hanno definita una guerra e il nemico è invisibile. Ma la memoria, solo che si voglia ascoltare e far tesoro dell’esperienza degli altri, ci può aiutare.

comments powered by Disqus