La lezione arriva anche in Australia

La lezione arriva anche in Australia

di Eliana Agata Marchese

Oggi classe più numerosa del solito: alla lezione di letteratura si sono uniti due compagni che frequentano l’anno all’estero, in Germania e in Australia. Potenza di internet. A Monaco e in Queensland la clausura non è ancora arrivata, la preoccupazione sì. Immagino l’angoscia dei genitori nel sentire un figlio adolescente lontano.

Dall’altra parte del mondo si continua ad uscire con gli amici, ma si sente la mancanza dell’istruzione italiana: il mio alunno si vuole iscrivere al Politecnico di Milano e in questi mesi ha studiato per il test d’ammissione «Ma ancora - dice - non so quando potrò rientrare in Italia. Il volo di ritorno doveva essere a luglio; forse però aspetteremo che la situazione torni normale». Nel sud della Germania le scuole sono chiuse, ma per il momento niente quarantena: «Siamo una decina di giorni indietro rispetto all’Italia».

Da altre zone del mondo gli studenti stanno rientrando, o pensano di rientrare a casa ben prima del previsto: per molti di loro l’esperienza si conclude con un brusco risveglio. Riceviamo e attendiamo aggiornamenti. Sono i nostri compagni di classe, anche a distanza di migliaia di chilometri. E per oggi, in tempi di didattica da Coronavirus, studiano l’Illuminismo insieme a noi. Mia figlia Silvia è molto incuriosita dalla prospettiva di un anno all’estero; ma quando le chiedo dove le piacerebbe andare, mi risponde: «In uno di quei posti col mare azzurro e la spiaggia bianca». Non deve aver molto chiaro l’obiettivo degli scambi linguistici; forse ha solo bisogno di evadere, visto che da due settimane gli unici spazi aperti che conosciamo corrispondono al giardino di casa; o, quando proprio abbiamo voglia di esagerare, la terrazza dell’ultimo piano.

Oggi, per le strade del quartiere, passa perfino il megafono dei Vigili del Fuoco: «Attenzione! Attenzione! Si ricorda l’obbligo di rimanere in casa». Tutto il caseggiato si affaccia per vedere. Scambio due chiacchiere dal balcone: è un coprifuoco perenne; torno al lavoro.

Chiusa nel mio soggiorno, mentre Luciano si arrampica sulle librerie rischiando ogni minuto la vita, cerco di rendere più varie possibile le lezioni. Rimango convinta che la videoconferenza in diretta non sia la soluzione didattica migliore. Sono invece incoraggianti gli esiti dei video su YouTube: gli studenti di seconda hanno capito l’ablativo assoluto. Si può fare; non sarà mai come far lezione di presenza, ma si può fare. Ho ordinato e ricevuto una lavagna più grande; giro video su argomenti diversi, pensando anche a classi non mie: magari ci sono ragazzi che avrebbero bisogno di “sportelli”. Preparo set di ripasso: ci sono varie piattaforme, normalmente a pagamento, che offrono pacchetti gratuiti per fronteggiare l’emergenza. Posso monitorare quanti studenti hanno svolto l’esercizio, quali e quanti errori hanno fatto.

Poi ci sono le lezioni audio, a cui normalmente associo materiale autoprodotto: mappe concettuali, analisi di testi, lavoro che sbrigo prima dell’alba e dopo il tramonto. Suggerisco agli alunni di mettere in cuffia la registrazione e nel frattempo prendere appunti sulla mappa, come se fossimo in classe.

Diversificare è la strategia: il problema dell’isolamento è la noia, insieme alla nostalgia per la vita vera. Da qualche giorno perfino mio figlio, sostenitore della prima ora della quarantena, mostra qualche umana debolezza; canta le canzoncine della scuola materna, chiede di vedere la sua maestra: «Mamma, perché tu parli tutti i giorni con i tuoi ragazzi e io non vedo mai la mia maestra? Non posso vedere la maestra al computer?». La viceoconferenza non è la miglior soluzione per veicolare i contenuti, ma la scuola non è solo contenuto. Accendiamo lo schermo, ci vediamo, siamo ancora una classe che lavora insieme. Ci siete tutti, ragazzi? State tutti bene? Ci siamo ancora tutti. Cominciamo.

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