Che fatica presidiare il frigorifero di casa

Che fatica presidiare il frigorifero di casa

di Eliana Agata Marchese

Mi sono dotata di microfono e cuffie per le lezioni online, ma ora voglio un furgoncino per trasporto di generi alimentari.

Non temo che i supermercati chiudano: temo di non riuscire a far fronte all’insaziabile fame della prole. Quando la scuola è aperta Luciano e Silvia pranzano in mensa cinque giorni la settimana, Caterina due. La sera, dopo lo sport, a volte ci fermiamo a cena dai nonni. Tutto questo da qualche giorno è sparito, e io mi trovo a cucinare pranzo e cena per tutti, ogni giorno.

Le quantità sono pazzesche. A pranzo il pacchetto da mezzo chilo di pasta, che era così comodo da dosare, non basta più: ci vogliono seicento grammi, più il sugo. Il pane lo faccio da me: il consumo medio è un chilo al giorno. La merenda fingo regolarmente di dimenticarla: non ho lo spirito di Nonna Papera e quindi sono totalmente negata per torte e crostate. Ho amiche che, per compensare la noia dei figli, li coinvolgono nella preparazione di magnifici manicaretti, ma ogni tanto mi chiedo se non usciremo tutti obesi dalla clausura del Coronavirus. Del resto, in tempi in cui siamo forzatamente in casa, io stessa devo presidiare il frigorifero con espressione da molosso, perché nei (pochi) buchi della nostra tabella di marcia quotidiana i bambini vorrebbero continuamente andare a vedere “cosa c’è di buono”.

Ieri mio marito è andato a fare la spesa - lui soltanto, in ottemperanza alle indicazioni - e temo che lo abbiano scambiato per un grossista in incognito. Ad un solo giorno di distanza, peraltro, la frutta è già finita, visto che la propongo sempre come spuntino. Il tutto si traduce in una fatica immane, con la vaga impressione di vivere in un refettorio. Quanto mi manca la Risto 3, che per pochi euro sfamava i miei figli senza che dovessi muovere un dito!

L’unica consolazione è sentire ogni tanto qualche amica mamma: un po’ tutte abbiamo il problema della fame dei pargoli, e quindi condividendo mi sento un po’ meno sola. In tempi di isolamento da Coronavirus, peraltro, il ritmo di condivisione di qualsiasi cosa è aumentato esponenzialmente: ieri riunione virtuale con i colleghi per aggiornarci sulle buone pratiche della didattica a distanza (chi più chi meno, ci siamo attivati tutti), oggi giro di e-mail con i genitori della classe di Silvia per lo scambio dei compiti, telefonata ad una zia di Milano che vive isolata da più tempo di noi, centinaia di messaggi WhatsApp con colleghi e amici vari, tanto per ricordarci che ci siamo ancora. I miei studenti mi raggiungono via posta elettronica, via Google Classroom, qualche volta anche via Instagram.

Mentre penso che mi sono trasformata in un centralino e intanto il mio orizzonte non va oltre il cortile di casa, mentre mi dico che tutto questo è più grande di me, Luciano fa capolino in soggiorno. Ha indosso elmo di plastica e mantello rosso, sfodera una spada e un sorriso smagliante: oggi è il paladino Orlando. A lui non importa dell’isolamento e dei negozi chiusi, non conta i giorni che lo separano dalla normalità. Beati i bambini, che sono in perenne modalità “oggi me la godo”. Vorrei consolare me stessa e decido che per stasera non si cucina, solo pizza da asporto. Ma un attimo dopo mi fulmina un pensiero improvviso: il ristorante dove ci serviamo di solito è chiuso, causa Coronavirus.

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