La Trento che cambia

La Trento che cambia

di Barbara Poggio

Uno degli aspetti che emergono con più evidenza dai dati dell'annuario comunale di Trento è la crescente tendenza alla diversificazione interna del tessuto sociale cittadino. Una diversità che si articola lungo più assi.

Il primo è quello generazionale, perché lo spettro delle età si fa sempre più ampio, a fronte della maggiore speranza di vita, che si accompagna tuttavia ad un complessivo invecchiamento della popolazione, a seguito della contrazione delle nascite.

Un secondo asse è quello relativo all'origine etnica, che vede la popolazione cittadina composta per l'11,5% da persone di origine straniera, una percentuale che sale al 22,5% tra i nuovi nati, che saranno poi le generazioni che domani aiuteranno, grazie ai loro contributi previdenziali, a sostenere quella parte di società che si avvia oggi verso l'età anziana. A questo dato si accompagna anche quello relativo al numero di imprese condotte da stranieri, pari all'8,7%.

Il terzo asse di diversificazione riguarda la forme familiari, che appaiono sempre più articolate: solo una famiglia su 10 risponde a quel modello di coppia con due figli, non molti anni fa cristallizzato in una statua di piazza Dante a rappresentare la famiglia trentina tipica, mentre aumentano i nuclei unipersonali, le convivenze e le forme non tradizionali.
L'ultimo asse che vorrei richiamare è quello delle differenze di genere. L'annuario non presenta in realtà molti dati disaggregati per genere e soprattutto non riporta dati sull'occupazione e quindi non consente di mettere in evidenza le differenze presenti su questo versante, ma fornisce però il dato sull'istruzione, che consente di osservare il superamento da parte delle ragazze nella scuola secondaria di secondo grado e la sovrarappresentazione femminile nei percorsi di laurea (pur con forti differenze di genere tra i diversi indirizzi). Questi dati sono il sintomo di un cambiamento irreversibile della società contemporanea.

La globalizzazione, lo sviluppo tecnologico, i modelli di comunicazione tendono infatti a rendere sempre più capillari e diffusi i fenomeni migratori. I cambiamenti demografici, i processi di secolarizzazione, le trasformazioni nel mondo del lavoro ridisegnano le prospettive di vita, i comportamenti familiari, i vincoli e le scelte individuali dei soggetti. Di fronte a queste tendenze due possono essere le principali risposte. Da un lato la negazione nostalgica, ovvero la tendenza a rifiutare il cambiamento e a pensare che sia possibile arginarlo innalzando muri e scavando trincee, escludendo i diversi, contrapponendo i diritti di categorie svantaggiate, brandendo i simboli della tradizione come fossero spade e scudi, dopo averli deprivati del loro più profondo significato al solo fine di farne strumento di divisione e contrapposizione.

Dall'altro invece la concretezza consapevole, ovvero la capacità di leggere, analizzare e comprendere il cambiamento e di affrontarlo cercando di valorizzarne le implicazioni positive (esistono ormai molte evidenze rispetto al fatto che la diversità possa generare innovazione, creatività, apertura mentale, capacità di affrontare il mondo e persino sviluppo e crescita economica e benessere sociale e organizzativo) così come di lavorare per contenerne le possibili criticità (come le possibili tensioni nella convivenza legate alle differenze culturali, il rischio di creare ghetti, la radicalizzazione identitaria).

Anche all'interno dell'università di Trento sono state condotte numerose ricerche e approfondimenti su questi fenomeni, alla luce di diverse prospettive disciplinari. E nel corso del tempo sono stati avviati anche alcuni percorsi di studio. L'ultimo nato è un master che si occupa proprio della gestione delle diversità in una prospettiva di equità, valorizzazione delle differenze e inclusione. Il senso di questo investimento sta proprio nella consapevolezza che la risposta più adeguata di fronte alle diversità che attraversano la società in cui viviamo passi per la capacità di riconoscerle, gestirle, limitarne le problematicità e valorizzarne le potenzialità. A partire dalla consapevolezza che le società più avanzate, le organizzazioni più efficienti, i contesti più funzionali sono quelli in cui la diversità non viene stigmatizzata, ma piuttosto accolta, riconosciuta e valorizzata.

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