Niente note a scuola, ma restano le regole

Niente note a scuola, ma restano le regole

di Sandra Tafner

Addio alle note scolastiche. Nella scuola elementare sul registro o sul diario non si potrà più scrivere «suo figlio si è comportato» o qualsiasi altra nota negativa per informare la famiglia. Oggi lo vieta il Parlamento. È pur vero che finora lo si faceva in base a un decreto che risaliva agli anni Venti e l’epoca, ovviamente, ha la sua importanza. Può anche essere che si trattasse di un provvedimento eccessivo, certo è molto più faticoso trovare il modo adatto per rapportarsi col singolo soggetto, cercare di convincerlo, di ragionare, ascoltare. E questo insieme ai genitori, perché il rapporto scuola-famiglia risulta un primo passo indispensabile. I bambini, infatti, hanno bisogno di figure di riferimento, delle quali non aver paura ma alle quali riservare fiducia e rispetto. Queste figure oggi esistono? E in più, sono figure che collaborano o che si mettono in competizione? L’adulto non è, o non è soltanto un amico o compagno di giochi, ma deve avere l’autorevolezza necessaria e adatta alle situazioni, da lui si impara e a lui - quando se ne dia il caso - è necessario rendere conto, non tanto per averne censure, quanto per ottenere prima di tutto un indirizzo improntato a princìpi e regole, alcune delle quali fondamentali per sé e necessarie per vivere nella società. Autorevolezza che ovviamente non significa autoritarismo.

Ci sta che siano state abolite le sospensioni e le espulsioni alla scuola elementare, perché gli eccessi non danno mai frutti. Succede però che talvolta la famiglia diventi iperprotettiva, l’opposto delle tante lavate di capo e delle punizioni, anche quelle magari eccessive, che gli adolescenti al ritorno dalla scuola dovevano subire nei tempi andati . Oggi invece può succedere qualcosa che fino a non molti anni fa era addirittura impensabile, con genitori che si schierano a prescindere dalla parte dei figli, arrivando talvolta - e per fortuna restano ancora sporadici i fatti di cronaca - ad aggredire gli insegnanti. E non soltanto a male parole.

«Niente di troppo» stava già scritto sul tempio di Apollo a Delfi. «Ne quid nimis» riprendeva il poeta Orazio, niente di eccessivo. Ma soltanto buonsenso, facile a dire ma impegnativo a praticare.

Nessun rimpianto, ovviamente, per la scuola di alcuni decenni fa, quando vigevano ancora le bacchettate sulle mani, la tirata d’orecchi o il castigo dietro la lavagna, ma esisterà pure un equilibrio nei comportamenti, affinchè nulla sia troppo o troppo poco. Spesso però la reazione rischia di far buttar via il bambino insieme all’acqua sporca in attesa di trovare un assestamento. Fu così, e talvolta lo è ancora, con certi metodi pedagogici che suggerivano di lasciare ai bambini libertà illimitata, nessun vincolo e nessuna restrizione pena far loro subire traumi che - questo il pericolo prospettato - si sarebbero trascinati per tutta la vita.

Il discorso torna sempre lì, alla via di mezzo. Oggi niente note, niente sospensioni, niente punizioni e va bene, ma esistono regole, quelle di base che valevano ieri ma che valgono anche adesso, dalle quali non si può derogare, regole che non devono essere violate e che vanno insegnate a cominciare proprio dai bambini. Perché - dicevano una volta i nonni contadini - se un albero cresce storto è poi difficile che si raddrizzi. Tra il lecito e il non lecito, insomma, c’è una grande differenza ed è molto meglio insegnarla che imporla castigando. È qui che il patto scuola-famiglia diventa indispensabile per un’azione concordata. Che poi i bambini siano obbligati a indossare il grembiule come vorrebbe il Ministro nulla aggiunge a un corretto metodo educativo. Per quello ci vuol ben altro impegno, il grembiule non c’entra con i princìpi, con l’ordine e la disciplina e nemmeno con le regole del vivere civile e del comportamento umano.

L’obbligo esisteva fino a qualche decennio fa e non suscitava reazioni negative, a parte qualche eccezione che pure esisteva, ma ora sembra un revival senza senso se lo si vuole intendere come mezzo per rendere tutti uguali. Uguali non si diventa coprendo le toppe del vestito, ma facendo sì che tutti possano usufruire di pari opportunità. Se il punto di partenza non è lo stesso, può però diventarlo il punto d’arrivo, basta che chi deve e chi può agisca per creare le occasioni giuste. E il governo in questo caso dovrebbe trovarsi in prima fila.

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