Non ci sono più le mamme di una volta

Non ci sono più le mamme di una volta

di Lucio Gardin

Alle volte riaffiorano i ricordi della mia infanzia. Era tutto così diverso da oggi; sembra passato un secolo. Ricordo quando la mia mamma veniva a prendermi al campetto da calcio.

Dunque, di solito funzionava così: io andavo a giocare in un campetto vicino a casa mia, così vicino che nove tiri su dieci la palla finiva sul poggiolo, e lì rimaneva finché non mi convocavano a giocare il giorno dopo (riportare la palla, era l’unico motivo della convocazione). Un giorno la mia mammina venne a rastrellarmi sul campo da gioco con un battipanni in mano chiedendosi come mai la richiesta di tornare a casa che mi aveva fatto pervenire tramite un fischio (ai tempi non c’era whatsapp) non avesse avuto risposta. Purtroppo, io non potevo abbandonare una partita di calcio: i miei obblighi verso lo sport andavano anteposti alla necessità di dimostrare a mia mamma che ero ancora vivo.

Va premesso che quando mia mamma fischiava dalla finestra di casa, se non rientravo alla velocità del suono, c’era un’alta probabilità che ci sarebbe stata una scarica di botte ed io ne sarei stato coinvolto. Per questo, se dopo il secondo fischio non ero ancora rientrato a casa, per lei significava che ero morto, e se non rientravo entro il secondo fischio, poteva significarlo anche per me. Diciamo che cambiava il numero dei fischi ma non l’epilogo. Quindi, quel giorno lei venne a prendermi al campetto da calcio. Ricordo che era l’imbrunire e stavamo giocando quelle partite in cui spesso bisognava indovinare la posizione della palla. Capitava che quelli con una vista meno performante prendessero a calci qualche sasso scambiandolo per il pallone.

Quando intravvidi la mamma sbucare da dietro l’oratorio correvo sulla fascia e dopo avere seminato un paio di avversari ero diretto a rete, ma d’un tratto mi parve una buona idea fermarmi e far entrare una riserva. Quindi, feci dietrofront e iniziai a camminare a circa cinque metri davanti a mia madre, nella speranza che gli altri pensassero che si fosse imbattuta in me per puro caso, giusto perché andava nella stessa direzione. Arrivato a casa alzò il battipanni e disse “passa dentro” piazzandosi però davanti alla porta, cosa che rendeva impossibile “passare dentro” senza attraversare entrambe (mamma e porta). Che gran bei momenti. Mi mancano. Ma soprattutto mancano a molti ragazzini di oggi.

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