Martiri d'Anaunia: il loro messaggio

Martiri d'Anaunia: il loro messaggio

di Luigi Sandri

Hanno qualcosa da dirci, ancor oggi, Sisinio, Martirio ed Alessandro, a causa della loro fede uccisi il 29 maggio 397 in Anaunia (nome latino della Val di Non) da “pagani” che ignoravano il fatto che ormai il Cristianesimo era religione di Stato? Sì, malgrado profondissime differenze storiche e culturali, il loro messaggio, a chi non sia distratto, parla ancor oggi.

Provenienti dalla Cappadocia (Anatolia centrale), verso il 387 i tre leviti raggiunsero Roma e, quindi, Milano; da qui il vescovo Ambrogio li mandò al suo amico, il vescovo Vigilio di Trento, che gli chiedeva “missionari” per evangelizzare una valle - l’Anaunia - assai restia ad accogliere il Cristianesimo. Nella zona di Sanzeno, dove i tre fissarono la loro dimora, andarono crescendo le persone che, abbandonando la religione avita, accoglievano la nuova fede. Un “cambio” intollerabile per i sacerdoti pagani, forse seguaci di Mitra, che finivano per avere meno fedeli, e quindi meno entrate economiche. E così - sappiamo qualcosa dalle lettere che Vigilio scrisse a vari vescovi - i tre furono presi, uccisi e bruciati.

I responsabili di episodi analoghi non avrebbero subìto, decenni prima, conseguenze penali (anzi, forse un premio!). Ma, se con l’editto di Milano, del 313, l’imperatore d’Occidente, Costantino, e quello d’Oriente, Licinio, proclamavano “religione lecita” il Cristianesimo, dieci anni prima perseguitato, nel 380 l’imperatore Teodosio aveva compiuto un passo ulteriore: quella fede era proclamata la sola ed unica religione dello Stato.

Gli anauni - ci vuole tempo per convincere i nonesi! - o non  seppero la grande novità, o la sottovalutarono: fatto sta che, nel nuovo corso, i responsabili dell’uccisione dei tre rischiavano la decapitazione. Ma dalla Chiesa si levò forte una supplica ad Onorio, imperatore d’Occidente, affinché dopo quel sangue innocente sparso, altro sangue non ne seguisse. Richiesta accolta: ai responsabili dell’uccisione fu risparmiata la pena capitale.

Quante e quanti, dei trentini, e soprattutto dei nonesi, oggi seguono il Cristianesimo, non potrebbero mai dimenticare che la fede che professano è nata più di diciassette secoli fa, o allora è stata rafforzata, dal martirio di quei tre chierici. Gente “furesta” venuta da una terra lontana per portare il messaggio di Gesù; e ci hanno rimesso la vita. Non sappiamo, con esattezza, come predicassero: ma è lecito immaginare che, parlando a “pagani” - abituati ad onorare Déi e Dee, “purché” dessero loro la “grazia” invocata - insistessero sul fatto che il Signore salva per grazia; non ci sono azioni umane, o rosari esibiti e recitati, che obblighino Dio a concedere quello che gli si chiede.
Meraviglia, perciò, che a tanta distanza da quel drammatico 29 maggio 397, vi siano ancora dei cristiani i quali pensano di essere seguaci di Gesù se compiono certi riti, o portano con sé simboli della loro fede, ignorando le Sue parole: «Non chi mi dice “Signore, Signore”, entrerà nel Regno, ma chi fa la volontà del Padre mio».

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