Fine del centrosinistra autonomista

Fine del centrosinistra autonomista

di Pierangelo Giovanetti

Ogni esperienza politica ha un inizio e una fine, ma per il centrosinistra autonomista la calata del sipario ha assunto i contorni tristi e devastanti del cupio dissolvi, non solo sul piano politico e culturale, ma anche umano.
Sul terreno rimangono solamente macerie, sulle quali difficilmente si riuscirà a ricostruire qualcosa per uno o due decenni. È questo l'epilogo distruttivo a cui sta portando l'indecorosa tragi-commedia Pd-Upt-Patt, divisi su tutto e su tutti, in una guerra di veleni e di coltelli, che è andata oltre ogni decenza e rispetto per i cittadini elettori.

In piena estate, alla vigilia delle elezioni provinciali, la cosiddetta coalizione non solo non ha il candidato presidente, non sa da chi è composta, si spara addosso quotidianamente con una miseria di rapporti personali che non ha limiti, ma addirittura non sappiamo se ci sarà il 21 ottobre, perché è sull'orlo dell'esplosione. Se l'Upt si ritira per far comunella con i Civici di Francesco Valduga, un Pd lacerato e diviso da mesi di odi e bava di vendette alla bocca resterà a far coalizione con il Patt di Ugo Rossi? O salterà tutto, e ognuno andrà per la sua strada incontro al disastro finale?

Ad oggi, 1° luglio, non è dato ancora saperlo. E se anche in un estremo atto di resipiscenza l'Upt decidesse di tornare in coalizione, con Rossi presidente, o con chiunque altro, da Tonini a Valduga, che tipo di alleanza sarebbe quella in cui tutti si odiano e si detestano come viene pubblicamente senza vergogna alcuna manifestato da mesi e da anni? Come potrebbe governare, ammesso e non concesso di trovare ancora la sopportazione rassegnata dei cittadini elettori? In tali condizioni chi legittima un nuovo candidato presidente? Come potrebbe essere accettato dagli altri partiti della coalizione un candidato diverso dall'uscente, imposto senza la condivisione degli alleati e senza una investitura data dal voto popolare delle primarie? Qualora dovesse anche sopravvivere la coalizione e vincere (?) le elezioni, governare dopo tale devastazione politica e di rapporti, sarebbe impresa improba e probabilmente vana.

Se la politica fosse degna di tale nome (governo della polis, cioè della comunità), e se i partiti fossero gli strumenti democratici che concorrono a realizzare tale politica, come li ha pensati la Costituzione, non avremmo tali faide violente che vanno avanti dal 5 di marzo, in una sistematica demolizione di ciò che di positivo è stato fatto in vent'anni di governo insieme. All'indomani della batosta elettorale di marzo, i leader (ma vi sono ancora?) della coalizione dovevano recarsi da Ugo Rossi e dirgli con chiarezza: guarda, abbiamo tutti perso le elezioni politiche, dobbiamo cambiare cavallo per provare a dare un segno di innovazione, non c'è niente di personale ma è un sacrificio che ti chiediamo. Questo andava fatto subito, o altrimenti si doveva seduta stante confermare Ugo Rossi e far quadrato attorno a lui. Nel caso di sostituzione, c'era tutto il tempo per organizzare poi le primarie e individuare il candidato presidente convalidandolo dal voto popolare, e non dai caminetti degli stantii vertici di partito, o dal cilindro di qualche ex deputato iperattivo nonostante la fenomenale sconfitta. Così fece la Dc dopo Stava sacrificando un grande presidente come Flavio Mengoni per dare il segno del «cambio di rotta», e lo fece rispolverando uno che di nuovo non aveva nulla, tale Pierluigi Angeli, ma che serviva per dire «abbiamo voltato pagina». 

C'era tutto il tempo per sondare i Civici, e capire da che parte stavano (non si è ancora capito al 1° di luglio, l'unica cosa evidente è la sfrenata ambizione personale di chi teme di non venire rieletto sindaco di Rovereto tre anni dopo il primo voto). E soprattutto c'era il tempo per dar vita ad una nuova coalizione con l'ingresso di nuovi soggetti (i Civici appunto), e scegliere un candidato presidente comune legittimato dal voto di tutti gli elettori civici e di centrosinistra autonomista. Pd e Upt hanno invece preferito puntare sulla vendetta personale verso Ugo Rossi, delegittimandolo ogni giorno con l'obiettivo gretto e ambiguo di cucinarlo per bene, per arrivare all'estate e cambiare agevolmente cavallo (senza avere il nome condiviso per sostituirlo).

Ugo Rossi, da parte sua, ha fatto orecchi da mercante, convinto di essere forte della debolezza altrui, sicuro che alla fine dopo un po' di contorcimenti interni i partiti si sarebbero adeguati al Rossi-bis, perché comunque restava l'opzione più forte in campo. Risultato: siamo a luglio, e la coalizione è esplosa. L'Upt si è fatta convinta (mal consigliata?) che il sole dell'avvenire sono i civici, ed è pronta a candidarsi con loro anche da soli. Con quale consenso finale non si sa, visto che non si conoscono neanche i contenuti del progetto a parte un po' di luoghi comuni sul «civismo» e la concretezza dell'amministrare (e quando ci sarà da gestire gli immigrati, per fare un esempio, da che parte staranno?). Quanto ai voti, in un sistema elettorale come quello della Provincia di Trento, con l'elezione diretta del più votato, è tutto da vedere se la divisione premia, o invece favorisce soltanto la coalizione avversaria.
Il Pd, dove tanti rimandi e tentennamenti, dopo aver giocato a tessere e a disfare la tela di Penelope gratificando chi all'interno del partito aveva conti personali da regolare con Rossi e vendette da cucinare fredde, è rimasto col cerino in mano, senza un candidato alternativo credibile e condiviso da contrapporre, addirittura costretto a prendere ordini dai Civici se volesse allearsi con loro. E il rischio ora è alto, se l'Upt conferma di lasciare la coalizione per unirsi a Valduga.

La situazione non va tanto meglio negli altri schieramenti. Con una differenza, però. Il vento sta tirando impetuoso a destra. La paura alimentata e strombazzata quotidianamente da Matteo Salvini incanta gli italiani, ed ormai la Lega è il primo partito. Più tira fuori il peggio del Paese, più gratifica le viscere più lerce degli individui, trasformandoli in nuovo blocco sociale. Trionfante anche in Trentino, con buona pace dei Geremia Gios e delle loro velleità antagoniste. Come anche a destra hanno capito le varie Forza Italia e frattaglie più o meno aggregate, è la Lega che dà le carte. E a Pontida il Capo assoluto consacrerà Maurizio Fugatti, sottosegretario ai punti nascita di Tione, Arco, Borgo e Cavalese, quale candidato dell'asse leghista vincente del Nord, che domina dall'autonoma Valle d'Aosta alla Lombardia al Veneto al Friuli dell'Autonomia, in attesa del Trentino a ottobre.

Quanto ai 5Stelle, come ben si sapeva, la democrazia diretta (da Roma) deciderà il candidato più gradito al potere centrale, quello affine a Di Maio-Casaleggio, alla faccia dei ridicoli meet-up, manovrati da pochi istruiti burattinai. Il tutto attraverso votazioni farsa sulla piattaforma Rousseau, di cui non si sa chi controlla, chi maneggia, chi partecipa, con che criteri. L'unica cosa certa è che gestisce tutto Casaleggio-Di Maio, tanto che è facile prevedere che il candidato presidente dei 5Stelle in Trentino che risulterà eletto dalle primarie casualmente inizierà per «Z» e finirà per «a», per «libera» e «democratica» scelta popolare, alla faccia di Filippo Degasperi e delle sue migliaia di interrogazioni sulla sanità trentina.

Se il centrosinistra autonomista pensava di bearsi delle miserie altrui, per coprire l'olezzo del proprio letamaio di casa, non ha fatto bene i conti con il «nuovo» clima che si respira nel Paese, anche in Trentino. Basta uscire dagli asfittici e inconcludenti vertici dei partiti della coalizione per accorgersene. E parlare con la gente. Ma probabilmente è chiedere troppo, a chi sta andando allegramente nel baratro contento però che ha cavato un occhio al suo vicino, prima di cadere insieme a lui nel burrone.

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