Società digitale: i veri nuovi poteri

Società digitale: i veri nuovi poteri

di Antonello Soro

I cambiamenti imposti dall’innovazione tecnologica hanno generato un livello senza precedenti di raccolta e di elaborazione di dati, destinato a subire un’ulteriore espansione con le nuove applicazioni dell’Internet delle cose, della robotica, della realtà aumentata. Dalle parole e dai numeri ai giochi, ai media, alle funzioni complesse dei sistemi industriali, all’ambiente, ai trasporti: tutto quello che riguarda la nostra esistenza ha subito una trasformazione digitale. Ora stiamo varcando una nuova frontiera, stiamo entrando nell’era dei sistemi cognitivi.
Una nuova categoria di tecnologie, che utilizza l’elaborazione del linguaggio naturale e dell’apprendimento automatico.

Tecnologie in grado di amplificare e accelerare il processo di trasformazione digitale, per consentire alle persone e alle macchine di interagire in modo più naturale, estendendo e potenziando le competenze e le capacità cognitive.
Lo sviluppo delle tecnologie rappresenta il presupposto essenziale perché le imprese possano competere nella dimensione globale dei mercati e perché possano migliorare le condizioni di vita delle persone in ogni angolo del pianeta. Ma i progressi incessanti di questi cambiamenti mettono in discussione molti paradigmi consolidati del diritto e molte consuetudini della politica. E sollevano interrogativi ineludibili.

Avvertiamo che lo sviluppo di una florida economia fondata sui dati, che sfrutta le funzionalità tecnologiche per la loro raccolta continua e massiva, la trasmissione istantanea ed il riutilizzo, ci espone a nuovi rischi. E, poiché i dati rappresentano la proiezione digitale delle nostre persone, aumenta in modo esponenziale anche la nostra vulnerabilità.
La libertà di ciascuno è insidiata da forme sottili e pervasive di controllo, che noi stessi, più o meno consapevolmente, alimentiamo per l’incontenibile desiderio di continua connessione e condivisione.

Da un lato le imprese tecnologiche hanno dilatato la raccolta e la disponibilità dei nostri dati, dall’altro le esigenze di sicurezza, di fronte alla minaccia criminale e terroristica, hanno spinto progressivamente i governi ad estendere il controllo delle attività svolte in rete per finalità investigative in modo sempre più massivo. Il combinarsi di questi processi ha prodotto una straordinaria intrusione nella vita di tutti, una vera e propria sorveglianza, con effetti importanti sui comportamenti individuali e collettivi, sugli stessi caratteri delle nostre democrazie.

Penso che la protezione dei dati debba assumere un ruolo di primo piano per presidiare la dimensione digitale: quella in cui sempre più si dispiega la nostra esistenza e nella quale ora si svolgono anche le relazioni ostili tra gli stati e dentro gli stati. La nuova economia, fatta di tecnologia sempre più interconnessa, favorita dall’espansione dell’Internet in mobilità, alimentata dalla presenza capillare di sensori intelligenti, si caratterizza per i grandi volumi di dati, l’infinita eterogeneità delle fonti da cui provengono e la velocità dei sistemi che li analizzano. Ma governare questi processi non è certamente un compito semplice.
La capacità di estrarre dai dati informazioni che abbiano un significato e siano funzionali, richiede infatti lo sviluppo di sofisticate tecnologie e di competenze interdisciplinari che operino a stretto contatto.
In questo quadro i progressi nella potenza di calcolo svolgono un ruolo centrale per l’analisi dei Big Data e per l’acquisizione della conoscenza. E in un futuro non troppo lontano l’intelligenza artificiale, grazie ad algoritmi capaci di apprendere e migliorare autonomamente le proprie abilità, offrirà soluzioni efficaci per soddisfare le più disparate esigenze. E arriverà ad occuparsi di problemi che oggi possono sembrare ostacoli insormontabili, a beneficio della collettività. Potrà fornire un aiuto importante nel campo della medicina, nello studio dei cambiamenti climatici o nel favorire l’accesso a risorse di primaria importanza come l’acqua o il cibo.

Ma, per altro verso, la logica posta alla base dei Big data con il suo insaziabile bisogno di accumulare dati porrà sfide ancora più complesse che solo in parte sarà possibile risolvere attraverso una maggiore regolamentazione degli operatori tecnologici, attualmente attestati su un regime di sostanziale autodichia.
Le riforme del quadro giuridico europeo rappresentano una svolta importante per definire un contesto uniforme e proiettato sulle esigenze future e, soprattutto, preservare la fiducia degli utenti nello spazio digitale e nelle sue potenzialità.

Fiducia, innovazione e futuro sono fortemente correlati. L’obbiettivo al quale dovremmo tendere è la garanzia di uno stesso livello di tutela dei diritti online così come offline.

Ma se una buona regolamentazione è essenziale, essa non è da sola sufficiente per affrontare l’impatto di questi processi sulle nostre società. Penso che sia necessaria una nuova consapevolezza da parte delle opinioni pubbliche.

L’attenzione ai Big data non può riguardare soltanto le sue implicazioni scientifiche e tecniche o gli sconvolgenti effetti delle innovazioni sull’economia. Ci deve preoccupare anche il potenziale discriminatorio che dal loro utilizzo, anche rispetto a dati non identificativi o aggregati, può nascere per effetto di profilazioni sempre più puntuali ed analitiche: in un gioco che finisce per annullare l’unicità della persona, il suo valore, la sua eccezionalità. E una grande attenzione dobbiamo rivolgere alle applicazioni dell’intelligenza artificiale che effettuano valutazioni o assumono decisioni supportate soltanto da algoritmi, con un intervento umano reso via via più marginale, fino ad annullarsi, con effetti dirompenti sul modo di vivere e articolare esistenze e relazioni, in termini individuali ma anche sociali e politici.
Le Autorità europee di protezione dati avvertono il bisogno di accompagnare questi fenomeni attraverso un più rigoroso approccio etico e di generale responsabilità.

E prima di tutto abbiamo bisogno di promuovere garanzie di trasparenza dei processi, anche per la progressiva difficoltà a mantenere un effettivo controllo sui dati: per l’opacità delle modalità di raccolta, dei luoghi di conservazione, dei criteri di selezione e di analisi.
I rapporti asimmetrici tra chi quei dati fornisce e chi li sfrutta si risolvono a favore di questi ultimi ed in particolare di coloro che gestiscono le piattaforme digitali e dispongono degli standard tecnologici dominanti.
La capacità di elaborare, anche in tempo reale, tramite algoritmi sempre più potenti un’ingente mole di dati consente di estrarre conoscenza e, in misura esponenziale, di effettuare valutazioni predittive sui comportamenti degli individui nonché, più in generale, di assumere decisioni per l’intera collettività.

Chi possiede il profilo dei consumatori indirizza la produzione commerciale verso specifici modelli di utenza, così da assecondarne i gusti ed insieme orientare selettivamente le scelte individuali.
Dobbiamo chiederci quante delle nostre decisioni siano in realtà fortemente condizionate dai risultati che un qualche algoritmo ha selezionato per noi e ci ha messo davanti agli occhi.
Un libro, un certo viaggio, una clinica cui affidare la salute, un investimento dei risparmi, la scelta di un dipendente da assumere, un giudizio politico, la stessa fiducia nei confronti di una persona appena incontrata, della quale chiediamo subito informazioni cliccando sui motori di ricerca e la cui affidabilità siamo pronti a misurare su quanto appreso in rete.

Dobbiamo riflettere sugli attuali scenari, interrogarci sugli effetti prodotti da queste trasformazioni: per comprendere le conseguenze sulle nostre vite indotte dalle decisioni automatizzate.

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