Europa: attenti ai diritti, meno ai doveri

Europa: attenti ai diritti, meno ai doveri

di Michele Andreaus

Ho aperto per curiosità i commenti ad un post del Parlamento Europeo apparso su Facebook. Sono rimasto letteralmente sconvolto, non tanto dal livore contenuto nella maggior parte di questi messaggi, ma dall’assoluta ignoranza sulla politica europea e sul suo ruolo. Dalle scie chimiche alle locuste, dal debito pubblico alla disoccupazione, pare che tutti i mali del mondo partano da Bruxelles. L’Italia, assieme ad ampie fasce di popolazione di altri paesi, vede ormai nell’Europa il nemico, ne percepisce solo i vincoli e non le opportunità, senza prendere minimamente in considerazione che tutto ciò che viene deciso a Bruxelles, viene deciso anche dall’Italia. Su tutto, una imbarazzante assenza di memoria storica: le società moderne dimenticano completamente cosa sia stata l’Europa e il mondo prima della nascita della Comunità Economica Europea (così si chiamava all’inizio).

Essa nasce dopo la II guerra mondiale, allo scopo di evitare il ripetersi della peggiore catastrofe umanitaria mai vista prima. Questa comunità è cresciuta nel tempo, prima in modo poco visibile ai cittadini, poi si è incominciato a vederne e toccarne con mano l’esistenza, ad esempio con lo smantellamento delle frontiere. Da un’entità economica, è diventata nel tempo un’entità politica, peraltro incompiuta. A mio avviso proprio quando si è trattato di fare il salto di qualità, passando da una dimensione commerciale, economica e finanziaria, ad una dimensione politica, sono nate le contraddizioni europee.
L’Euro ne è forse l’aspetto più evidente, in quanto rappresenta un passo importante di un percorso che, però, si è fermato, risultando alla fine una delle più forti decisioni politiche, ridotta a mero vincolo finanziario.

Ad un certo punto, la spinta propulsiva europea, guidata e alimentata anche dalla visione politica dei leader che nel tempo si sono succeduti, fino a Kohl, Mitterand, Prodi e Ciampi, si è fermata, bloccata dalla paura degli stati membri di cambiare gioco. Ecco allora la nascita e la crescita delle contraddizioni: da un lato le decisioni che si prendono a Bruxelles (o a Francoforte, sede della BCE), dall’altro il consenso politico che si gioca nel cortile di casa. Una politica debole e schiava del consenso di breve, ha gioco facile nell’imputare tutti i mali a Bruxelles (che è lontana e dove i commissari non vengono eletti ma nominati dai governi dei singoli stati membri) e nell’avocare a sé tutti i meriti, a partire dalla difesa degli interessi nazionali, altro tema molto cavalcato.

L’Europa rappresenta così oggi un’opera incompiuta, un gigante senza testa, o una nave senza ancora, che nel contempo rimane la nostra salvezza dal naufragio. Ogni stato membro ha oggi una dimensione troppo piccola per poter giocare la propria partita sullo scacchiere mondiale: sono piccole la Germania e la Francia, figuriamoci l’Italia. Nella geopolitica ci sono potenze che possono restare tali sono a fronte di una rinuncia dell’Europa a riconoscersi pedina di un gioco innanzitutto politico: un’Europa politicamente forte renderebbe la Russia fortemente indebolita. Stesso discorso se vediamo la politica USA, dove l’unico soggetto in grado di porre dei paletti pare essere la Cina, che usa tutte le leve che ha a disposizione, compresa la Nord Corea.

Alimentare gli interessi nazionali significa alimentare gli egoismi nazionali. L’affermare che si va a Bruxelles per fare gli interessi dell’Italia (o della Germania o della Polonia), significa mostrare l’Europa da un lato come un giogo, dall’altro come terra di conquista. Questo non è un male italiano, ma un atteggiamento diffuso anche all’estero. In realtà il valore dell’Europa dovrebbe essere superiore rispetto alla semplice somma algebrica dei singoli elementi che la compongono, e questo ci riporta al discorso sulla visione politica.
Il fatto che molti vedano solo i vincoli e non le opportunità, rappresenta comunque un elemento che merita approfondite riflessioni.
Questo malessere non nasce per caso, e non è solo una questione di non conoscenza. Varie cose non hanno a mio avviso funzionato se siamo giunti a questo punto. Il vero collante dell’Unione Europea in questo momento è la finanza. L’Euro ha infatti comportato la delega alla BCE delle funzioni di politica monetaria, mantenendo tutte le altre funzioni politiche ad un livello sottostante. La politica lascia di conseguenza il posto alla tecnica finanziaria, e non potrebbe essere altrimenti.

Ecco quindi tutti i vincoli di bilancio, che sono necessari a contenere le tensioni che inevitabilmente si innescano tra economie che viaggiano a velocità differente. Non esistono altri strumenti, di fatto, in quanto manca una politica economica, fiscale, del lavoro europea.
Se i vincoli ci sono, però, essi vanno rispettati. Il debito non ce lo ha mandato la Merkel o i cattivoni della finanza mondiale. Il debito ce lo siamo creato noi per vivere al di sopra delle nostre possibilità, ovvero per sopperire con il debito ai malfunzionamenti non tanto politici, ma sociali, in primis l’evasione fiscale. Ora, l’assenza e la miopia della politica obbligano a ridurre il confronto al rapporto tra debitore e creditore: sei in grado di pagarmi gli interessi e restituirmi il capitale? Se sì, bene, chiunque tu sia, se no, non ti presto più nulla. E noi abbiamo continuamente bisogno di finanziare il debito.

Varie sono le ricette che illustri economisti e politici hanno dato. Ritengo che una delle principali vie di uscita sia quella di creare spesa pubblica, ma non attraverso la crescita del debito, soprattutto in quelle economie già pesantemente indebitate come l’Italia. Ritengo che la vera responsabilità della Germania, e non si tratta di una contraddizione, non sia l’attenzione ai vincoli di bilancio, ma l’ostinata assenza di una politica economica di prospettiva europea.
La Germania da alcuni anni, grazie soprattutto ad un sistema sociale che funziona, dove le tasse (non basse) le pagano tutti e alla BCE, che ha abbassato i tassi di interesse, risulta in pareggio di bilancio, con un avanzo della bilancia commerciale importante. Se queste risorse fossero almeno in parte messe a servizio di una crescita europea, forse le cose incomincerebbero a cambiare per tutti.

Questo non viene fatto per diversi motivi, in primis perché ormai in Europa nessuno si fida più di nessuno e quindi la Germania si guarda bene dal mettere le proprie risorse a beneficio della crescita di paesi che ogni giorno mettono in discussione l’esistenza stessa dell’Europa. Vediamo giustamente i nostri diritti, ma tendiamo a dimenticarci dei doveri. Ogni società coesa si dovrebbe basare su un rapporto di responsabilità reciproca, non su atteggiamenti opportunistici, dove c’è sempre qualcuno che cerca di fregare l’altro, dall’esame all’università, al pagare le tasse, al prendere decisioni a Bruxelles.

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