Violenza sulle donne e cultura fascista

Violenza sulle donne e cultura fascista

di Federica Ricci Garotti

Nel giorno contro la violenza sulle donne, (che è ogni giorno), manca a mio parere una dimensione politica: in questo momento storico tutti si affannano a trovare categorie nuove per comprendere la crisi dei valori del Novecento.

Le nuove categorie di giudizio e analisi vengono mutuate dalla psichiatria, dall’antropologia, dalla letteratura eppure manca ancora a mio parere il riferimento esplicito a un valore che brilla per la sua attualità, quello dell’antifascismo. Non parlo del partito fascista, ma della cultura fascista, un mondo di valori ancora fortemente ancorato in alcune fasce della società civile italiana e paradossalmente molto presente nei giovani e nei giovanissimi.

La violenza sulle donne è figlia di questo pensiero, è la deriva moderna di un credo antico, quello fascista, a cui la cultura e la cittadinanza italiane hanno sempre guardato con leggerezza e con una certa indulgenza, evitando di prenderne le distanze in maniera definitiva e indelebile.
Penso all’immagine del fascismo veicolata dalla figura di Mussolini, il suo evidente machismo ostentato nei primi video di propaganda, a torso nudo mentre falcia il grano, esempio di fisicità maschile, che tanta presa ebbe sulle donne dell’epoca. Si narra che a Palazzo Venezia il duce ricevesse ogni giorno in un salottino privato un certo numero di signore che bramavano un contatto fisico con cotanta maschia potenza e che questo fosse uno dei compiti a cui non si sottraeva mai, nonostante una moglie e un’amante istituzionale.

I due co-protagonisti delle rivoluzioni del Novecento, Hitler e Lenin, avevano tutt’un’altra immagine fisica, l’uno misogino, impotente e perverso (portò al suicidio almeno due donne che ebbero a che fare con il suo corpo repellente), l’altro debole e malato, in carrozzina, spinto da amorevoli infermiere. Lo slogan fascista del “me ne frego” resta tuttora un mantra per tanti italiani: la sottrazione di se stessi ad ogni responsabilità, il rifiuto di provare vergogna di fronte agli atti più efferati, l’evitamento di ogni debolezza, anche fisica, è un punto che tanti, o forse tutti, gli assassini di donne hanno in comune. Bravi ragazzi, diligentemente palestrati e fieri della loro prestanza, che in un momento di follia (dicono) uccidono, massacrano, accoltellano, incendiano. Un «me ne frego» gigantesco stampato dentro il cuore: non mi importa se muori, se soffri, se piangi e urli, l’importante è che io sia salvo, la mia mascolinità ne esca vincente, perchè ti dimostro che sono sempre io il più forte.
E che altro fu, che altro è il fascismo se non l’ostentazione del forte sul debole, che altro fu l’assassinio di Matteotti se non, oltre all’eliminazione fisica di un avversario, la dimostrazione simbolica a tutto il Parlamento italiano che contro la forza fisica e squadrista non poteva fare altro che subire?

Il pensiero fascista non fu altro che questo, una dimostrazione di forza e potenza oltre il pensiero politico, culturale e religioso, l’affermato trionfo della forza e il disprezzo di ogni debolezza. Trovo questo atteggiamento, tipico del fascismo, pericolosamente attuale. Come l’antisemitismo che portò alle infami leggi razziali, esso era scritto nelle intenzioni fasciste fin dai suoi albori, l’odio per chiunque impedisca di esaudire i tuoi desideri, l’istinto fisico di abbatterlo e di piantare la propria bandierina fallica sul corpo martoriato di chi osa frapporsi fra il desiderio e la sua realizzazione.

Sono convinta che se lo studio, l’analisi e la definitiva condanna al pensiero fascista fosse decisa, convinta e definitiva nella cultura italiana, a cominciare dalla scuola e dalle famiglie, molti capirebbero che il fascismo non fu e non è solo un periodo storico, ma un modo di pensare, un tentativo di sottomettere gli altri alla propria volontà di potere, di cui la violenza sulle donne è l’espressione più vigliacca. Chiunque usi la forza fisica contro un altro essere non è altro che un vigliacco. Il fascismo fu vigliacco. Ci sono confini che non si possono superare, per i quali non è consentito nessun «se» e nessun «sì, ma». La violenza sulle donne è uno di quegli atti ai quali non è concesso alcun distinguo, nessuna indulgenza. Così come al fascismo, predatore, razzista e violento. Se si comincia da qui, forse abbiamo qualche speranza di rinascita.

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