Biotestamento: la svolta di papa Francesco

Biotestamento: la svolta di papa Francesco

di Pierangelo Giovanetti

Il messaggio di papa Francesco di giovedì scorso, rivolto al convegno sul «fine vita» dell’Accademia pontificia, segna una discontinuità importante della Chiesa in tema di testamento biologico e di regolamentazione legislativa di questioni eticamente sensibili.
In realtà non c’è stato cambiamento di dottrina rispetto al «fine vita».
Il pontefice ha ribadito i due capisaldi dell’insegnamento della Chiesa: no all’eutanasia, cioè all’interruzione volontaria della vita con mezzi attivi o passivi (il distacco della spina); e il no all’accanimento terapeutico, già definito in questi termini da Pio XII e testimoniato da Giovanni Paolo II negli ultimi giorni della sua vita quando disse «Lasciatemi tornare alla casa del Padre».

Se ci si accanisce sul malato con cure che non danno prospettive di guarigione, è lecito rinunciare all’uso di terapie sproporzionate e lasciare che la natura faccia il suo corso con la conclusione della vita.
In sostanza il papa ha ribadito che nessuno può essere obbligato a continuare o a subire trattamenti non efficaci, i quali procurano soltanto ulteriore sofferenza e procrastinano in maniera artificiale con un uso disumanizzante della tecnica l’incontro con sorella Morte (e per chi crede con la Vita eterna).

Il cambio di rotta di Francesco è invece netto su due punti:

1) lo sviluppo dominante assunto dalla tecnica, in molti casi sostitutiva della medicina diventando un assoluto, rende difficile stabilire un confine preciso dove è lecito e dove non è lecito intervenire in casi di prognosi infausta, e quindi va lasciata libertà al paziente di decidere, in dialogo con i medici;

2) il legislatore è chiamato a trovare un punto d’incontro fra visioni diverse, senza guerre di religione e scontri ideologici.

Benché gli ideologi della teoria dei «principi non negoziabili» abbiano cercato di negare e smontare le novità importanti espresse da papa Francesco (vedi le interviste successive del cardinal Camillo Ruini, che da presidente dei vescovi italiani aveva negato i funerali in chiesa a Piergiorgio Welby), la svolta c’è, e anche di rilievo, e chiaramente costituisce uno sprone limpido e forte al parlamento italiano a varare la legge sul testamento biologico approvato già dalla Camera e in attesa di discussione in Senato.

Il disegno di legge prevede che il medico sia tenuto a rispettare la volontà del paziente messa per iscritto nel biotestamento, indicando a quali trattamenti non si vuole essere sottoposti nel caso di malattia o di trauma improvviso, se sopraggiunge impossibilità di esprimere un consenso diretto. Il testo richiama il rispetto e la dignità della fase finale della vita, evitando l’ostinazione delle cure affiancando invece una terapia del dolore, che comprende la sedazione palliativa profonda.
Ora papa Francesco nel suo messaggio richiama ad un «supplemento di saggezza» per evitare «la tentazione oggi più insidiosa di insistere con trattamenti che non giovano al bene integrale della persona». «Non è sufficiente applicare una regola generale», afferma , ma «occorre un attento discernimento» «che consideri le intenzioni dei soggetti coinvolti», assegnando alla «persona malata il ruolo principale». «È anzitutto lui - afferma il pontefice - che ha titolo, ovviamente in dialogo con i medici, di valutare i trattamenti che gli vengono proposti e giudicare sulla loro effettiva proporzionalità nella situazione concreta, rendendone doverosa la rinuncia qualora tale proporzionalità fosse riconosciuta mancante».

Con queste parole univoche nessuno può invocare più il magistero della Chiesa per impedire l’approvazione della legge sul biotestamento in parlamento. Se non verrà approvata, sarà perché una parte della politica non l’ha voluta approvare, non perché ostino questioni morali o dettati dottrinali.
Il secondo passaggio decisivo del messaggio inviato alla Pontificia Accademia per la vita riguarda la necessità che siano i parlamenti a trovare un’intesa su questo, cercando punti d’incontro «tra visioni del mondo, delle convinzioni etiche e delle appartenenze religiose diverse in un clima di reciproco ascolto e accoglienza».
Papa Francesco pone così fine definitivamente al principio dei «valori non negoziabili» in politica, con cui parte della gerarchia ecclesiastica ha imposto leggi (vedi la legge 40 sulla fecondazione assistita) violando la stessa libertà di coscienza della politica, specie dei politici di fede cristiana. La ricerca di un compromesso tra posizioni anche morali e religiose diverse per dar vita ad una legge sul «fine vita» è quindi necessaria per tutelare il cittadino. «Lo Stato  - afferma papa Francesco - non può rinunciare a tutelare tutti i soggetti coinvolti, difendendo la fondamentale uguaglianza per cui ciascuno è riconosciuto dal diritto come essere umano che vive insieme agli altri in società».

Di fatto, quindi, viene sancito che la ricerca del bene possibile (o del «male minore» per usare un termine teologico) attraverso compromessi legislativi fra posizioni diverse è un fatto positivo, e fa crescere «il bene comune nelle situazioni concrete». In secondo luogo, il discorso del papa conferma quanto già il Concilio aveva sostenuto con chiarezza, e cioè che la responsabilità delle leggi spetta ai parlamenti e non alla gerarchia ecclesiastica, e che competenti ad esprimersi sono autonomamente i politici, compresi i politici di fede cristiana, e non i vescovi, che al riguardo non hanno titolo e competenza, e quindi legittimità.

Al di là del fatto che l’intervento di Francesco forse sbloccherà finalmente l’iter di approvazione della legge sul biotestamento, arrivata al passaggio finale proprio in termine di legislatura con il rischio che tutto il lavoro vada perso e i cittadini rimangano privi della possibilità di esprimere la volontà sul proprio «fine vita», emerge con forza il concetto che una società plurale deve «trovare soluzioni - anche normative - il più possibile condivise».
«Se questo nucleo di valori essenziali alla convivenza viene meno - afferma il papa - cade anche la possibilità di intendersi su quel riconoscimento dell’altro che è presupposto di ogni dialogo e della stessa vita associata».

In un’Italia dilaniata da odi, rancori e delegittimazioni reciproche, le parole di Francesco costituiscono un richiamo imprescindibile, specie in tempi in cui la politica, i social network, i gruppi di potere e di influenza mediatica esasperano le divisioni e gli estremismi, spingendo a negare e a demonizzare l’altro, il diverso da sé, e a rifiutare in maniera intransigente qualunque accordo, qualunque punto di incontro, qualunque mediazione che è invece compito primo e virtù specifica della politica. Più ancora che sul «fine vita», il messaggio di Francesco può diventare decisivo sulla «vita», sulla tenuta e la vitalità della democrazia nel nostro Paese, sul riconoscimento dell’altro e delle ragioni dell’altro che stanno alla base di ogni vera civiltà umana, e che nell’Italia di oggi purtroppo in gran parte hanno perso cittadinanza.

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