Esercito al Brennero? Austria «fuorilegge»

di Herbert Dorfmann

L'ennesima ondata migratoria si abbatte sull'Italia e, di tutta risposta, l'Austria minaccia di schierare l'esercito al Brennero per sigillare i propri confini.

Le intenzioni dell'Austria sono comprensibili ma, se messe in atto, costituirebbero una violazione delle leggi europee, perché il controllo della frontiera con l'Italia non è stato autorizzato dalla Commissione europea.

Il Trattato di Schengen prevede, infatti, la possibilità di istituire dei controlli alle frontiere interne per un periodo di tempo definito, ma questi devono in ogni caso essere approvati dalla Commissione. Sono, inoltre, sempre possibili e, in una situazione come questa, anche auspicabili, controlli di polizia nei territori vicini al confine.

Data l'attuale pressione migratoria, la polizia austriaca fa quindi bene a intensificare questi controlli e a chiedere un rispettivo impegno anche da parte italiana.

I controlli al confine tra Austria e Germania, autorizzati e in vigore da più di un anno, sono la prova della scarsa efficacia di queste misure nella gestione dei flussi migratori. Infatti, alla luce di quanto accade in questi giorni, si può affermare che il posto di blocco a Kufstein non ha di certo diminuito le navi che attraversano il Mediterraneo e, in tal senso, non lo faranno neanche i carri armati al Brennero.

Si è arrivati a questo punto perché, nonostante le innumerevoli decisioni che abbiamo preso in Parlamento europeo per spartire in maniera equa gli oneri della crisi migratoria tra i vari Stati membri, la maggior parte di loro ha fatto orecchie da mercante e ha scelto deliberatamente di tradire gli impegni in termini di redistribuzione dei migranti e contributi finanziari per fronteggiare la crisi, presi di comune accordo a Bruxelles.

Nei prossimi giorni, i Ministri degli Interni degli Stati membri si incontreranno a Tallinn, in Estonia. Speriamo che non si tratti dell'ennesimo vertice sprecato, ma, che, invece, di fronte all'urgenza della situazione attuale, gli Stati membri la smettano di spartirsi le colpe e comincino finalmente a distribuirsi le responsabilità.

Per fare ciò, è importante che l'approccio comune europeo che abbiamo elaborato in questi due anni in Parlamento europeo smetta di esistere solo sulla carta, ma diventi rapidamente realtà.
Bisogna, innanzitutto, distinguere tra rifugiati, che hanno ogni diritto a essere accolti in Europa, e migranti economici, che questo diritto non lo hanno.

È poi fondamentale che il pattugliamento delle acque del Mediterraneo avvenga sotto la guida di un'unica autorità, cioè Frontex, l'agenzia europea addetta al controllo delle frontiere, che ha il compito, in primo luogo, di assicurare il coordinamento delle operazioni delle guardie di frontiera.
Frontex potrà esercitare in maniera efficiente questa funzione solo se avrà la possibilità di supervisionare anche le attività di quelle Ong che, al momento, attraversano incontrollate le acque del Mediterraneo. Chi non sarà disposto ad essere sottoposto al controllo di Frontex, dovrà, in tal senso, essere bloccato dal perseguire le sue attività.

Dobbiamo poi rafforzare la collaborazione con i nostri partner, supportando, ad esempio, la guardia costiera libica nella lotta contro i trafficanti di esseri umani. O ancora, gli Stati membri dovrebbero smetterla di litigare sulle quote e accettare di farsi carico ognuno di una parte dei migranti. Lo stesso vale per l'accoglienza delle navi che li trasportano. Sarebbe ora che alcune di queste imbarcazioni venissero accolte nei porti degli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e non solo sempre in quelli italiani.

La crisi si risolve solo andando al cuore del problema. Dobbiamo puntare a un miglioramento delle condizioni di vita nel continente africano, per evitare che altre persone rischino la vita sfidando le acque del Mediterraneo. A tal riguardo, già nel 2015 abbiamo sostenuto in Parlamento europeo la creazione di un fondo per distribuire aiuti allo sviluppo in Africa e agire così sulle cause alla base dell'immigrazione. Anche su questo fronte, gli Stati membri hanno dato prova di scarsa serietà: mentre da un lato, l'Unione europea ha versato correttamente la sua quota, dall'altro, gli Stati hanno contribuito finora con solo 90 milioni di euro, rispetto ai 2,6 miliardi per i quali si erano impegnati.

Ciononostante, domani voteremo in Parlamento europeo un'altra proposta che va nella medesima direzione e che istituirà un fondo di garanzia per lo sviluppo sostenibile del continente africano. Speriamo che questa proposta abbia più successo di quella precedente.

In ogni caso, la misura è ormai colma. Se il vertice di Tallinn non dovesse produrre risultati concreti, è auspicabile che l'Italia mandi un messaggio chiaro ai partner europei, chiudendo i porti e obbligando così le navi ad attraccare altrove. È triste constatare che, se gli Stati membri mettessero a favore di uno sforzo condiviso europeo la stessa energia che mettono nel perseguire soluzioni nazionali, la crisi migratoria sarebbe già da tempo sotto controllo.

Herbert Dorfmann
è europarlamentare sudtirolese (Svp), eletto nel collegio Nordest

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