Normalità è cambiamento, è forza.

Normalità è cambiamento, è forza.

di Federico Uez

Settimana di esami a Kay Chal, al mattino.

I ragazzini e bambini della scuola sono i primi a darmi gioia e a cui io cerco di portarla. Loro sono restavek. Una parola che prima di quest’anno mai avevo sentito.
Quando una famiglia che abita fuori dalla capitale ha troppe bocche da sfamare, non ha l’opportunità di mandare a scuola un figlio o ha bisogno di soldi per tirare avanti, può capitare decida di affidare uno dei suoi bambini a un’altra persona che vive a Port au Prince: un famigliare, ma anche  un estraneo. Qualche volta capita, mi raccontava il maestro della scuola, che qualche signore della capitale si rechi nelle zone rurali ben vestito, di bella presenza, offrendosi di prendere in affido un bambino.

Il problema che poi si manifesta è che la maggior parte delle volte queste “famiglie affidatarie” vivono in uno stato di povertà estremo.
Questi bambini si ritrovano così a vivere in casa senza i propri genitori, svolgendo lavori sin da piccoli: lavare i vestiti, preparare da mangiare, andare a prendere l’acqua al pozzo, acquistare al mercato, badare ai figli naturali più piccoli. Spesso il posto per dormire è un pavimento, perché le case troppo sono piccole e senza spazio. Spesso non vanno a scuola per mancanza di soldi; spesso, per lo stesso motivo, non mangiano ogni giorno, o comunque molto poco.

E’ estremamente difficile discernere e giudicare quando capita che una famiglia cerchi davvero di dare delle opportunità al bambino affidatogli, mandandolo a scuola, trattandolo come o quasi un figlio naturale, volendogli bene.
Quando ormai ragazzi crescono e decidono di andarsene dalla famiglia, spesso si ritrovano sulla strada: così, intrappolati in questo sistema, cercano un’altra persona per cui fare lavori di casa, in cambio di vitto e alloggio. Quello che ho compreso è che in tal modo si entra in un circolo da cui è difficile uscire: senza un salario e spesso senza adeguata istruzione, diventa difficilissimo emanciparsi da questa situazione; conosco tanti ragazzi che si trovano a diciotto, venti, ventitré anni, a frequentare i primi anni di scuola elementare, appoggiati da Kay Chal.

Questa settimana, dicevo, abbiamo fatto gli esami al centro, che ha l’obiettivo di accogliere bambini e ragazzi “restavek”, sensibilizzare e creare un contatto con le loro famiglie, dar loro una formazione base per poi poter frequentare una scuola pubblica o privata.

Al mattino i bambini e ragazzi, dagli 8 ai 16 anni, si sono impegnati ed erano tesi per le prove, che hanno più o meno bene superato. Come capita durante un esame, in ogni parte del mondo; si spera in un bel voto, si spera che questa difficile settimana finisca presto , c’è invece chi è contento di mettersi alla prova.

Al mattino, in effetti, i bambini e ragazzi, questa settimana come ogni altro giorno a Kay Chal, sono semplicemente bambini e ragazzi.

Bambini e ragazzi che giocano, si divertono, mi chiedono in continuazione di prenderli in braccio, litigano tra loro, ridono, apprendono.

Normalità: questo è il più bel regalo che Kay Chal regali a questi piccoli, che ogni mattino mi riempiono di gioia, nonostante tutto.

Normalità: questa è una parola che ogni giorno mi ronza in testa. Mi fa pensare. Mi fa pensare e ripensare a come i piccoli cambiamenti che avvengono nella quotidianità siano il primo e più efficace modo per fare e ricevere del bene, per cambiare ciò che desideriamo cambiare. Per cambiare ciò che ci fa storcere il naso e che potrebbe rendere migliore questo mondo, a casa nostra, ad Haiti, ovunque.

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