Trentino rimasto senza banche

di Pierangelo Giovanetti

C'è un asso nella manica in più per le imprese sudtirolesi nella loro costante espansione, anche in Trentino: oltre alla lingua (il tedesco è la più parlata in Europa) e alle dimensioni (si sono irrobustite negli ultimi tempi, più di quelle trentine), vi è il credito. Sulle banche l'Alto Adige ha seguito una linea opposta alla nostra, difendendo e mantenendo gli istituti di credito territoriali, orientati quasi esclusivamente alla crescita imprenditoriale delle aziende locali.
Oggi oltre Salorno vi sono tre forti gruppi bancari con la testa e le gambe sul territorio: il gruppo autonomo Raiffeisen delle casse rurali, la Cassa di Risparmio- Sparkasse e la Popolare-Volksbank.
In Trentino negli ultimi vent'anni sono state cedute tutte le banche, tranne le rurali, confluite in gruppi nazionali, che rispondono a logiche nazionali o internazionali senza alcuna particolare attenzione o riguardo verso lo sviluppo della provincia. L'unico polo bancario trentino rimasto sono le casse rurali, ma ancora per poco, visto il varo del secondo gruppo cooperativo nazionale in cui confluiranno. Il nuovo polo bancario può contare su 110 medie banche cooperative, di cui solo una trentina saranno quelle nostrane.

Pur diventando un grosso gruppo nazionale (il sesto o il settimo per dimensioni), la presenza trentina sarà fortemente diluita. Su 65-67 miliardi di raccolta diretta e indiretta a disposizione del nuovo polo bancario, solo 17 miliardi rappresentano il peso del Trentino. Stesso rapporto anche fra i 1200 sportelli della nuova banca, e i 9000 dipendenti. È evidente che, pur nel ruolo forte assunto da Cassa centrale e dalle società di servizio come Phoenix e Ibt, gli equilibri interni si faranno sentire. Un'azionista quale Chiantibanca, con Lorenzo Bini Smaghi potrà chiaramente rivendicare la presidenza del gruppo.

Pur mantenendo la struttura delle casse rurali sul territorio (che comunque si dimezzeranno rispetto alle attuali, riducendosi a una quindicina), il Trentino uscirà ulteriormente ridimensionato nella leva locale del credito.
Va detto che, probabilmente, la scelta di dar vita al secondo polo cooperativo è stata ad ogni modo la più azzeccata, visto il nuovo quadro legislativo e come si sono sviluppate le cose a livello nazionale. Dopo aver rinunciato negli anni passati a dar vita a un gruppo cooperativo provinciale, come hanno fatto in Alto Adige, sviluppandosi anche con i servizi verso il Nord Est, la virata verso il secondo gruppo nazionale diventava per un certo verso obbligata. Di qui la decisione di Cassa centrale di pilotare un polo autonomo rispetto a Roma, dove comunque la presenza trentina rimane minoritaria.

La disponibilità del credito a sostegno dell'intrapresa locale e alla crescita e rafforzamento di imprenditoria innovativa resta la questione centrale per lo sviluppo futuro del territorio.
La domanda da porsi, a questo punto, è questa: quale legame il nuovo gruppo cooperativo nazionale avrà con il territorio, quali obiettivi animeranno la leva del credito, che peso avranno le famiglie e le aziende trentine nell'accesso alla nuova banca, quale sarà il ruolo dei soci (se vi sarà ancora un ruolo) nel gruppo nazionale, che spazi avranno le singole casse rurali di vallata nella scelta di indirizzo dei capitali?
Qui sta il punto nodale da affrontare, a cui sono legate l'economia e il benessere di questa terra per i prossimi anni. Snodo sul quale, finora, non è stata data una risposta chiara e precisa, forse anche perché siamo al rush finale, e occorre mettere il cappello sull'opera; quindi la stessa dirigenza di Cassa centrale si guarda bene dallo scontentare i futuri affiliati delle altre regioni. Finora dalla Federazione cooperative e da Cassa centrale è stato ripetuto che si punterà sull'identità locale e il rapporto con il territorio. Essendo stati scottati più e più volte nel recente passato, è lecito nutrire qualche dubbio, o per lo meno qualche fondata preoccupazione per il futuro.
Negli ultimi quindici anni la stessa cosa è stata detta da Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto quando si è fusa in Unicredit nel 2001, e gli effetti si sono percepiti in poco tempo. Si è passati poi alla Popolare del Trentino che nel 2006 è confluita nel Banco di Verona, e dal 1° gennaio di quest'anno è definitivamente scomparsa nella Popolare di Milano (Banco BPM). Per Eurobanca del Trentino la fine è sopraggiunta nel 2009, incorporata dalla Banca popolare dell'Emilia. Nel 2012 è stata la volta della Calderari, storico marchio trentino, inghiottito da Banca Sella. E infine, due anni fa, l'ultimo passaggio di Btb, la Banca di Trento e Bolzano, di proprietà della finanziaria della curia Isa, fagocitata da Banca Intesa, che l'ha trasformata in semplici sportelli di un gruppo internazionale.

In tutti i passaggi a guadagnarci sono stati solo gli azionisti (peraltro con affari lucrosi), mentre per il territorio, le imprese e le famiglie è stata una sconfitta cocente, e questo è diventato uno degli svantaggi competitivi di rilievo nei confronti del vicino Sudtirolo. I grossi soggetti finanziari del Trentino hanno pensato a fare cassa per sé e per le proprie semestrali, più che allo sviluppo della propria terra. Probabilmente tutti convinti che a quello ci dovessero pensare le casse pubbliche della Provincia.
Ora si avvicina la partita - l'ultima - del credito cooperativo. Il pericolo concreto, pur con le rassicurazioni finora fornite, è che anche tale ultimo baluardo di risorse del territorio prenda il volo per altri lidi. Vedremo dove sarà la sede del gruppo nazionale, e con quali condizioni. Resta il fatto che un Land autonomo come si fregia di essere il Trentino rischia di trovarsi senza banche, a differenza del Sudtirolo che dispone di tre forti gruppi bancari sudtirolesi vocati per scelta, storia e indirizzo prevalentemente allo sviluppo locale.

La delicatezza della partita si comprende ancor di più tenendo a mente che, al di là delle banche, non esistono in loco grandi altre fonti di finanziamento per le imprese territoriali. I fondi di investimento privati sono quasi inesistenti. Quelli nati, come Trentino-Invest, di Isa Finanziaria trentina e Fincoop (Cooperazione), sono stati un bluff ad uso mediatico, morti pressoché senza aver fatto nulla. Qualcosina fa il Fondo strategico trentino, che poi sono le due Province di Trento e di Bolzano (cioè i soldi pubblici) con il Laborfonds che ha dato vita ad alcuni minibond; e il fondo Euregio Minibond di Pensplan Investment. Ma è poca cosa rispetto al credito bancario.
E poi c'è la Provincia di Trento, che da molti imprenditori trentini è stata intesa a lungo come lo sportello pronto-cassa, da cui attingere capitali. La appannata e controversa vicenda dei lease-back, con la Provincia che ha sborsato fior di milioni di euro alle imprese (parte delle quali hanno poi chiuso o licenziato), trovandosi in pegno capannoni che nel tempo hanno perso di valore, ne è un esempio. Piazza Dante ha fatto da banca, compito che non spetta all'ente pubblico, anche se tornano di moda i salvataggi pubblici delle banche.
Negli ultimi due decenni il Trentino ha dormito sugli allori, mentre il Sudtirolo correva, costruendo meglio il suo futuro.
Ora se ne vedono i risultati.

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