La libertà di satira richiede cervello

La libertà di satira richiede cervello

di Pierangelo Giovanetti

Le squallide vignette del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, che ironizzano sui cadaveri dei terremotati italiani ridotti a «lasagne», sono la prova provata che non basta la libertà di satira per esprimere pensiero, ma occorrono anche intelligenza e buon gusto. Qualità oggigiorno non così comuni e scontate.

Qui non si tratta di dire o no «Je suis Charlie», siamo tutti Charlie Hebdo, come all'indomani della strage di Parigi da parte dei fondamentalisti islamici il mondo libero ha evocato. La satira è libera, punto. E anche, per dirla alla Voltaire, se pure non sono d'accordo e non condivido nulla di quanto detto, il diritto di dirlo va sempre difeso. La satira è libera, ovviamente, dentro il rispetto delle leggi, ma soprattutto dentro il confine invalicabile del rispetto dell'altro. 

Le vignette sul sisma «all'italiana», penne al sugo di sangue, pasta gratinata e lasagne di corpi fra le macerie, non sono satira ma solo offesa gratuita, meschino sciacallaggio sulla tragedia del terremoto, lugubre repertorio di luoghi comuni (Italia=pasta), nello stesso stile della successiva vignetta «riparatoria»: Italia=mafia. Qui non si tratta di irriverenza, trasgressione ironica, mordace irrisione del conformismo, o sferzata al potere. È solo insulto alle vittime, ai familiari, al popolo italiano colpito da una sciagura immane e ridicolizzato con triti e ritriti stereotipi figli di una presunzione francese di inesistente superiorità culturale. È lo stesso cattivo gusto e bieca ignoranza che precedentemente hanno portato a svillaneggiare con volgarità gratuite e offensive il credo e i simboli religiosi dei cristiani, dei musulmani, degli ebrei, giocando volontariamente e con cattiveria sulle sensibilità più intime. Giocando sui sentimenti delle persone nei confronti della fede.

La satira, quindi, è libera, ma non assoluta e intoccabile. È sottoposta anch'essa al diritto di critica, di poter dire che è vergognosa e indecente, oltre che inutile. Ed è sottoposta anche alla libertà del lettore di ritrarsi indignato e disgustato di fronte a tali vignette. O semplicemente di commentare con una pernacchia, come si riserva a chi ha partorito una boiata. Pensando magari di aver prodotto la genialata del secolo. Il decadimento della satira e della capacità di fare intelligente e sottile ironia, pungente quanto serve ma facendo leva sul cervello, non sulla pancia e nemmeno su altre parti anatomiche meno nobili, è lo specchio di un'involuzione generale della capacità di argomentare il proprio pensiero senza scadere nelle urla o negli insulti.

È un degrado ormai diffuso che tocca tutti gli ambiti della vita comune e delle relazioni. Basta prendere la caterva di invettive e contumelie, oltre che di scemenze, che genera anche il più banale confronto su internet nei blog o sui social network. Per non parlare della tivù, dove anche i telegiornali o i talk show si riducono a ring per il pestaggio dell'altro e il lancio dello sterco, in una gara a chi scivola più in basso. Non esiste più dialogo politico sulle idee (forse anche perché non si sono idee), né ragionamento sui contenuti, ma solo rutti e flatulenze spacciate per grande sagacia di critica, facendo leva soltanto sull'ingiuria, lo scherno, la parolaccia o la diffamazione contrabbandata per libertà di espressione.

L'imbarbarimento del clima civile e culturale generale lo si sperimenta anche nell'atteggiamento verso chi si impegna in prima persona in qualcosa per la comunità: dal consiglio comunale, alla pro loco, a qualche tipo di responsabilità politica o sociale. È un tiro quotidiano al piccione, facile per chi se ne sta comodamente seduto a commentare sul divano, al bar o sul blog, senza farsi carico in prima persona di affrontare e risolvere i problemi. Meno facile per chi sottrae tempo alla famiglia e al lavoro per dedicarsi ad uno scopo pubblico, e si vede sistematicamente denigrato e insultato non sul piano politico, ma sul piano personale e familiare. Di questo passo sarà un'impresa trovare persone disponibili per candidarsi al consiglio comunale o per svolgere un servizio pubblico, perché vuol dire finire in un tritacarne continuo, che porta solo a distruggere invece di costruire, anche criticamente, un qualcosa di migliore.
Il tutto condito da un astio e un rancore complessivo, alimentato artatamente da partiti, movimenti, giornali e opinionisti televisivi, che portano ad un cupio dissolvi, di cui non sappiamo bene come se ne uscirà fuori.

Come per la satira, anche la critica politica, il dibattito, il confronto tra le posizioni, sono liberi e salutari. Ma per aprire la bocca bisogna avere qualcosa da dire, e non solo saper vomitare addosso all'altro livori e avversioni, conditi da epiteti vari o addirittura da penosi attacchi sessisti (spacciati magari per vignetta ironica), come spesso capita di vedere nei confronti di politiche e ministre donna, a cominciare da Maria Elena Boschi. È questa la forza della nostra libertà, della libertà dell'Occidente, che nessun fondamentalismo - neanche quello jihadista - potrà fermare. Ma la libertà finisce dove inizia la libertà dell'altro, a cominciare da quella di essere rispettato nella propria dignità, nel proprio credo o nel proprio dolore. Si chiama responsabilità, che è l'altra faccia della libertà. E richiede intelligenza. Ma forse oggi è chiedere troppo, anche per i vignettisti della satira.

p.giovanetti@ladige.it
Twitter: @direttoreladige

comments powered by Disqus