Costituzione, riforma da bocciare Troppo potere al governo

Costituzione, riforma da bocciareTroppo potere al governo

di Pasquale Profiti

Ma di che parliamo? Sempre più spesso tale domanda viene utilizzata come artificio retorico per screditare le altrui argomentazioni. Non è realmente intesa a chiedere qualcosa all'interlocutore, ma l'esatto contrario: vuole porre termine alla discussione; perché quello che gli altri hanno asserito non merita ulteriore considerazione. Vorrebbe tacitare definitivamente il contraddittore dialettico.

Non è un espediente retorico rubato dagli adulti al linguaggio giovanile, come spesso oggi avviene nei discorsi pubblici più aggressivi e desiderosi di apparente modernità, ma carpito al linguaggio colloquiale, tra dialoganti presenti e tra i quali c'è una certa confidenza. La si pone spesso nei dibattiti da esponenti politici, ma personalmente l'ho sentita anche da colleghi magistrati e da accademici.

Da ultimo quella domanda, che non vuole alcuna risposta e che vorrebbe chiudere definitivamente ogni dialogo, l'ho sentita porre, retoricamente, dal professor D'Alimonte, esperto di sistemi elettorali e favorevole sia alla nuova legge elettorale che alla riforma costituzionale, in una trasmissione radiofonica.

Anche in questo caso non chiedeva alcuna risposta il professore, ma concludeva così il suo ragionamento con il quale avversava l'assunto che la legge elettorale e la riforma costituzionale determineranno uno spostamento degli equilibri tra i poteri dello Stato a vantaggio del governo, snaturando la natura di democrazia parlamentare del nostro sistema istituzionale.

Faccio volutamente finta di non capire che si tratta di un espediente retorico e, trattandosi di una domanda, rispondo, anche se gli interlocutori di risposte non se ne attendono.
Rispondo che effettivamente non so di che parliamo.

Rispondo che sarebbe stato bello parlare di Costituzione e non di governo. Sarebbe stato bello che un cittadino, amante del governo Renzi, potesse liberamente dire che quella riforma costituzionale non la vuole, oppure che, pur decisamente scontento del governo, potesse essere libero di votare a favore della revisione della Costituzione, perché la Costituzione è fonte di sovranità, il governo strumento limitato e contingente di suo esercizio. Sarebbe stato bello potersi esprimere a favore del nuovo assetto delle camere e contrari alla riforma delle competenze regionali, o viceversa, perché i due temi possono porsi indipendentemente, non essendo tra loro necessariamente legati.

Sarebbe stato bello potersi dichiarare favorevoli alla proposta di nuova disciplina del referendum e scontenti dell'esplosione di importanza conferita al regolamento della Camera che potrebbe tacitare le opposizioni oltre il tollerabile, o viceversa. Ed invece dovremo dare un SÌ o un NO in blocco, come se si trattasse di un pacchetto di viaggio non modificabile.

Sarebbe stato bello parlare della composizione del Senato, delle modalità inafferrabili di individuazione dei suoi componenti, leggendo gli ampi resoconti del dibattito parlamentare, stroncato dalla fiducia posta e dal contingentamento dei tempi di discussione, con la stessa avidità con cui leggiamo gli interventi dei costituenti del 48, così ancora attuali e fonte di aspettative deluse.

Di che parliamo allora? Sarebbe bello se fosse davvero una domanda tesa ad ottenere una reale risposta. Perché la risposta sarebbe semplice: parliamo di partecipazione, di democrazia, di correttezza istituzionale, di recupero degli astensionisti, di saper e dover dialogare anche con chi la pensa diversamente da noi ed anche con chi sappiamo essere pregiudizialmente contrari a noi.

Anche il linguaggio esprime un'attitudine. Quello della Costituzione del 48 è il linguaggio volutamente per tutti, che tutti comprendono senza difficoltà. È un linguaggio che non ama la retorica, che vorrebbe ispirare apertura e conoscenza, non le ordalie moderne del «mi gioco tutto».

È il minimo di una democrazia, è il massimo pretendibile a cui oggi ci siamo ridotti.

Pasquale Profiti è pubblico ministero alla Procura di Trento
e presidente dell'Associazione nazionale
magistrati del Trentino Alto Adige

 

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