Terrorismo, non cediamo alla paura

Terrorismo, non cediamo alla paura

di Franco De Battaglia

Mi guardo intorno su quanto accade nel mondo, da Bruxelles al Pakistan, e mi rendo conto di essere stanco dei linguaggi babelici dei giornali e delle inutili riunioni dei politici. Sono stanco di questa insicurezza crescente che sempre più ci avvolge e ci rende inermi spettatori di future tragedie. Sono stanco di diatribe su argomenti che appaiono sempre più inutili e che di politico hanno soltanto il desiderio di aumentare lo spazio in cui muovere i propri tentacoli; sono stanco di scandali che ripetono ormai con ritmo quotidiano ai quali, nostro malgrado, ci stiamo abituando. E sono stanco di tanto buonismo e di tanto immobilismo di fronte a nuove catastrofi annunciate. Ho voglia anch'io di certezze e di principi chiari che sempre più sfumano nella quotidianità.

E poi mi domando come sia possibile uscire da tale situazione. Mi tormentano domande che fino a ieri non mi riguardavano: perché continuare ad accogliere incondizionatamente? Perché permettere che venga diffuso anche fra noi il seme della discordia, delle guerre di religione e di razza? Perché continuare con un'Europa che di europeo pare non avere proprio più nulla? Perché? Le mie conclusioni sono molto pessimiste, ma non è certamente tempo di facili ottimismi.

Guido Leonelli


La risposta di De Battaglia

No, non è tempo di buonismi, ma neppure di scorciatoie verso certezze che diventano alibi. «Mandiamoli a casa», dice qualcuno. «Che imparino l'italiano se vogliono stare qui ?», dicono altri. Sono le stesse frasi che negli anni Sessanta la politica ufficiale e nazionalista opponeva al terrorismo altoatesino, umori e reazioni che avrebbero portato ad una «escalation» di guerriglia tragica, di stampo irlandese o basco, se non fossero state disinnescate da politici saggi (vogliamo citare almeno due nomi, Alcide Berloffa e Renato Ballardini?) da investimenti in politica ed economia. Non va peraltro dimenticato che il terrorismo come arma politica è nato qui in casa, nel cuore d'Europa, in Alto Adige, per estendersi poi all'Oas algerina (De Gaulle fece condannare a morte, poi ergastolo, il generale Salan) al Settembre nero palestinese, alle Br, alle trame ? Parigi e Bruxelles vengono da lontano, e ciò significa che si può essere pessimisti, ma vanno mantenuti i nervi saldi e va recuperato soprattutto il senso della Storia, che avverte come quel terrorismo sia stato vinto «togliendo l'acqua» dove nuotavano gli squali, non cedendo a un gioco improprio di reazioni e controreazioni violente.

In questo contesto il senso di «stanchezza» è comprensibile, ma non deve far cadere l'Occidente nella trappola degli stessi terroristi: le migrazioni come fenomeno epocale, da affrontare politicamente, le tragedie personali da sentire ed aiutare cristianamente come «prossimo», il terrorismo di provocazione nazista dell'Isis sono cose diverse e non vanno mescolate, altrimenti diventano una melma che tutto copre e inquina. L'Italia, peraltro, ha tutti i numeri per proporre una reazione ferma, ma non scomposta. Le «nostre» stragi, dalla stazione di Bologna (85 morti, 200 feriti, il 2 agosto 1980) a Brescia, all'Italicus ? sono state più sanguinose di quelle di Bruxelles, ma il terrorismo è stato vinto. Il terrorismo, piuttosto, sollecita l'Europa, a mettere a punto strumenti di prevenzione, prudenza, controlli remoti sul territorio che sono andati smarriti nell'orgia di totali liberalizzazioni (la rima è con speculazioni) seguita al 1989 e alla caduta dei «muri». «La Storia è finita», si è pensato, «ora è possibile tutto».

Naturalmente non è stato così. Le periferie sono diventate ghetti impenetrabili, i giovani delle «terze generazioni» si trovano senza lavoro, senza prospettive e non è un caso che vadano a finire in quella «legione straniera» disperata che è l'Isis. Ma se c'è una cosa che l'Occidente deve temere, più che i conflitti religiosi è la prevedibile rivolta dei «suoi» giovani, dispersi in «happy hour» tristissime, annoiati, senza lavoro e prospettive, senza future pensioni, in un malessere sempre più diffuso che si avverte da mille segni. Una rabbia di cui le «primarie» di un grande paese come l'America, così scomposte, violente, cariche d'odio, sono lo specchio. Di fronte a questo pericolo l'Europa deve «riassettare» le sue priorità, indirizzandole al lavoro. Meno Economia e più Sociologia. E le Autonomie, come il Trentino, devono recuperare capacità di confronto, anche duro. Più che gridare contro i terroristi occorrerebbe gridare contro chi, da Bruxelles e da Roma, con totale insipienza sta mettendo fuori mercato il latte, le stalle, le malghe i pascoli, tutta la zootecnia delle regioni alpine costringendo alla povertà, alla disperazione e alla rabbia migliaia di famiglie oneste. È sempre l'ira dei buoni che bisogna temere.

fdebattaglia@katamail.com

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