Il bel Trentino che noi trascuriamo

Il bel Trentino che noi trascuriamo

di Franco De Battaglia

Caro de Battaglia, sono un estimatore di Luca Goldoni, del suo stile leggero, della sua capacità di saper osservare i cambiamenti di costume anche attraverso particolari o indizi. Ho avuto il piacere di conoscere e osservare da vicino Luca Goldoni apprezzando - assieme alla sua garbatezza - la sua intelligenza ironica, il suo senso della storia, presentando nel 1993 il suo libro «Benito contro Mussolini», in tre tappe sui laghi trentini, a Riva del Garda, Levico Terme e Lavarone. 

Fra i suoi libri non avevo ancora letto «Una bestia per amico», pubblicato nel 2003. In quest'opera è questo l'incipit del capitolo «Dal limbo all'inferno»: «Le mie prime emozioni di adolescente in Trentino sono legate a immagini precise. L'esplosione di gerani alle finestre. Le piccole legnaie addossate alle case , i tronchetti impilati alla perfezione, quasi si potesse «costruire» il futuro calore a regola d'arte. I fontanili con la pietra levigata da milioni di lenzuola battute e strofinate. I fienili che sopravvivono al centro dei paesi, con il loro odore caldo e impolverato, le strutture di legno antico, da antiquario. Solo più avanti negli anni cominciai a capire il profondo rispetto che gli abitanti di questa terra avvertono per la natura».

Tu che ne pensi? È così o - alla luce di tutte le aggressioni di cui è stata vittima la natura anche nel Trentino, anche dai trentini - quella di Luca Goldoni deva purtroppo essere considerata come un vecchia oleografia?

Renzo Francescotti

È una domanda che ci poniamo ogni giorno, caro Francescotti, che si pone chi ama il Trentino, lo vorrebbe bello, saldo nella sua identità, non rosicchiato, graffiato, «macellato» (è la parola usata da un lettore che ci ha scritto) dai tagli di alberi, ruspe, incuria, capannoni e peggio. 
Lo si vorrebbe così, il Trentino, non certo per nostalgia, ma perché la bellezza e la cura dell'ambiente «costruiscono» il carattere delle persone, dei giovani, e anche di chi viene a lavorare «da fuori». Sono l'antidoto alla valanga globale di speculazione e di volgarità che tutto appiattisce. Questi particolari di amore per la casa, la legna bene ordinata, i fiori (fra qualche giorno è San Giuseppe, la festa dei fiori, così cara ai trentini) sono anche tratti distintivi nei confronti dei paesi violenti, quasi uno stemma, un'insegna di storia millenaria che testimonia soprattutto la fatica e la nobiltà delle popolazioni rurali.

Perché se non è facile costruire castelli e cattedrali, è ancora più difficile fare di una baita un monumento irripetibile: ci vuole buon gusto, umiltà, fantasia e pazienza. Così «quelle legnaie addossate alle case, quei tronchetti impilati alla perfezione» che Luca Goldoni cita, sono sostanza di un modo di vivere, non decorazione. Tenersi ancorati a questa «sostanza» è importante, nel momento in cui sempre più gli interessi della pianura tendono a travolgere la cultura della montagna, dalla sua architettura alle sue produzioni, e basta riferirsi ai più recenti casi delle casse rurali, che si vogliono omologare, o del latte deprezzato, che porterà all'abbandono di pascoli e masi.

Nutrono ancora amore i Trentini per le loro baite? Sì, se c'è da prestar fede alla cura con cui vengono restaurate e vissute, alla passione per la legna, alla frequenza con cui ai concorsi fotografici proprio queste «icòne» della montagna vengono inviate. Sono consapevoli i Trentini della loro importanza? No, verrebbe da dire, perché nella maggior parte dei casi vengono viste come intimità privata, rifugio personale e familiare. Non sono sentite in grado di espandere la loro bellezza a tutto il territorio circostante, che si lascia troppo spesso, anche fatalisticamente disperdere. E invece sono ancora uno dei messaggi più forti che il Trentino possa trasmettere. L'ultima copertina (Marzo 2016) della rivista «Touring» che ha una tiratura di oltre trecentomila copie, raffigura proprio una casa di legno, con i fiori e gli «stizzi» bene accatastati. E una bambina accanto. Il titolo dice: «L'aria (pulita) del Trentino». È un manifesto del Trentino, ma non è nostalgia, perché viene da lontano (si pensi a come la montagna trentina ha saputo «ricostruirsi» dopo le immani distruzioni della Grande Guerra, così come i fiori hanno ricoperto le trincee di morte) e costituisce al tempo stesso un'aspirazione: un Dna forte, che è anche un'assicurazione per il futuro. 

Potrà ben fare la Cina le sue stazioni sciistiche globali ai piedi delle più famose vette himalaiane, ma questo paesaggio «pulito» fra uomo e natura, c'è qui. Basta che sappiamo conservarlo e viverlo.

fdebattglia@katamail.com

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