Il neo colonialismo delle fragole a dicembre

Il neo colonialismo delle fragole a dicembre

di Luana Silveri

I nuovi colonizzatori sono Paesi ricchissimi, spaventati dalla ciclicità delle crisi finanziarie mondiali, quindi vogliono accaparrarsi tutto il necessario per garantirsi la possibilità di stare molto stretti nelle loro tombe.

Il nuovo colonizzatore arriva, corrompe con pochi denari i governi locali e sfrutta i terreni per assicurarsi la sussistenza alimentare piena, acqua e materie prima per i biocombustibili.

I nuovi colonizzatori, poi, per salvaguardare il «loro» alto livello di benessere e sicurezza sociale ed economica, non accettano i flussi migratori che hanno contribuito a creare e al massimo concedono aiuti umanitari, che fa tanto benefattore onesto.

I nuovi colonizzatori siamo anche noi quando a Natale decidiamo di servire panciute fragole o succosi ortaggi estivi, in barba alla stagionalità delle nostre coltivazioni e senza farci domande sulla provenienza di quelle fragole.

Anni fa i ricchi europei partivano con la sahariana, un fucile e strumenti religiosi a neutraliz… ehm scusate, a civilizzare i barbari popoli dell’Africa, dell’Oriente e del Sud America. In cambio prendevano nuovi prodotti da commercializzare, minerali preziosi e risorse umane (leggasi schiavi o come oggi è di moda; manodopera a basso costo).  Si pensava che con le guerre di indipendenza di questi Paesi il colonialismo fosse finito, che ognuno se ne fosse tornato a casa sua; errore! Il lupo è un vizioso incallito e avido quindi ha cambiato solo il pelo, dalla sahariana alla cravatta o kandura (abito maschile delle popolazioni arabe), dal colonialismo al land grabbing!

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Letteralmente significa rapina delle terre ed è un termine che descrive un fenomeno in incremento e poco conosciuto. Questo accaparramento avviene in nome dell’autonomia alimentare, ovviamente non dei Paesi depredati, ma dei predatori, alle loro spalle lasciano spalle ingenti danni di cui ovviamente non si curano. La terra fertile di Paesi del Sud del mondo (in particolare Africa, Asia e America Latina) viene venduta a terzi, aziende o governi di altri paesi (attraverso fondi sovrani o accordi tra governi)senza il consenso delle comunità che ci abitano o che la utilizzano per la loro sussistenza. La terra presa viene chiusa e messa ad agricoltura intensiva per la produzione di prodotti ortofrutticoli, materia prima per i biocarburanti o prodotti florovivaistici di pregio.

I danni sono socio-economici; intere popolazioni si trovano di colpo senza nulla, sono costretti a lavorare per i loro stessi usurpatori, a riversarsi nelle città a rinfoltire la quota di persone richiedenti aiuti umanitari o quella di emigranti disperati.
I danni sono ecologici, l’agricoltura intensiva impoverisce le terre e abbatte la biodiversità autoctona, compromette il bilancio idrico locale e aumenta il consumo di suolo agricolo per le nuove infrastrutture e gli impianti di distribuzione.

Un esempio del nuovo colonialismo si vede in Etiopia, secondo Paese più povero al mondo e primo destinatario di aiuti alimentari. Il governo locale ha ceduto enormi appezzamenti a imprese estere. Le espropriazioni non sono pacifici brunch tra governo e popolazioni locali, tantomeno si tollera l’esistenza di pensiero e strategie che possono contrapporsi alle direttive governative, i diritti umani fondamentali sono regolarmente violati per la svendita dei terreni. L’Etiopia a fronte di qualche dollaro, che va nelle tasche degli uomini del governo, si è trasformata nella dispensa dell’Arabia Saudita e dell’India che qui coltivano ortaggi, cereali, barbabietola da zucchero e rose. I prodotti coltivati sono per mercato estero, una minima parte resta sul mercato locale a dei costi così elevati che nessuno può permettersi di acquistarli per nutrirsene.

Non salviamo il mondo rinunciando alle fragole ma porsi delle domande potrebbe cambiare il nostro modo di pensare. Ragioniamo in un’ottica ecosistemica e non colonialista e facciamo ora perché, senza che ce ne accorgessimo, stanno depredando anche le nostre terre, basti pensare che in Europa il 3% dei proprietari di terreni agricoli detiene il 50% di tutte le superfici agrarie decidendo così cosa e quando possiamo mangiare.

L’indifferenza è sempre concorso di colpa mai una attenuante.

Per approfondire:

Limes: Gli aiuti internazionali allo sviluppo e lo spettro del land grabbing


Addressing the Human Rights Impacts of «Land Grabbing»:

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The many faces of land grabbing:

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La nuova corsa all’oro - Rapporto Oxfam:

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