La Benemerita e «un’altra Italia»

di Franco De Battaglia

«Ma perché vuò partì/ a stu core nun dà l’addio/ tutt’ ’e te so’ nnamurat’/ tien’ ‘a capa emmè lassà/.
Nu m’abbandunà /all’ati n’’penzà/ ‘nmiezz’ ’e talian’/ sta’».
Gennaro Riccio


Questi versi sono di una canzone d’amore napoletana, sulle note di «Torna a Surriento». A prima vista appaiono di difficile comprensione, ma i Trentini amano il proprio dialetto (è appena uscito il nuovo «Dizionario» sul dialetto della città di Trento di Elio Fox) e imparano volentieri quello altrui. In questo caso la traduzione può essere: «Ma perché vuoi partire/ a questo cuore non dar l’addio/ tutti ne sono innamorati,/ hai l’intenzione di lasciarmi/ ma non mi abbandonare./ Agli altri non pensare./ In mezzo agli italiani/ devi restare».
Poesia d’amore? Non solo. Poesia d’occasione piuttosto, metafora di sentimenti e timori che vanno oltre «l’innamorata» per comprendere realtà più grandi e complesse. Non a caso l’autore è il maresciallo-poeta dei carabinieri Gennaro Riccio, e le strofe sono state cantate, fra fitti applausi, alla cerimonia-spettacolo per i 200 anni dell’Arma, nell’auditorium dei Salesiani il 20 novembre, ricorrenza di «Virgo Fidelis». «Mattatori» Riccio e il presidente del Tribunale Avolio. L’Arma viene descritta come «radicata nello stivale italiano» («rarecat’ ndo Stivale…») e amata dalla gente che «Benemerita t’’a nummenat’».


Due cose vanno subito dette. La canzone, per i 200 anni dei Carabinieri, non è così ingenuamente nostalgica come parrebbe. In realtà adombra le voci romane (che riflettono sempre intenzioni, se non progetti) di assorbire i Carabinieri in un’unica forza di polizia. Una «razionalizzazione» chiaramente «sradicante» delle tradizioni e delle funzioni di una forza che, nella sua estesa presenza territoriale, ha sempre difeso il senso dello stato e non si è collusa con i regimi. Senza contare che un’unica forza di polizia, costituirebbe un centro di potere suscettibile di uscire facilmente di controllo. Quanto ai versi l’autore è Gennaro Riccio, maresciallo e ufficiale dei Carabinieri, ben conosciuto a Trento perché responsabile dei controlli alla Banca d’Italia. Lo si vede spesso nella piazza del mercato, fra le bancarelle con umanità, quando non è nel palazzo.


Riccio è un personaggio singolare. Nato a Santi, nella penisola sorrentina, proprio accanto ad Amalfi, opera da più di quarant’anni a Trento, ed è diventato, come lui stesso afferma «più trentino dei trentini». Del resto il mare di Amalfi, dominato da un paesaggio di montagna, e le Dolomiti nate dal mare, hanno molti punti in comune, che Riccio ama richiamare nelle sue poesie nel musicale dialetto napoletano. Su «mare e monti», con le loro situazioni e i loro personaggi, Riccio ha già scritto due libri pieni di verve e paradossi, «Passione, sentimento e fantasia» e «Versi scritti con ànema e còre». Nell’ultima raccolta, soprattutto, vi sono - dietro i sentimenti - introspezioni notevoli: la poesia sui due papi, Benedetto e Francesco, o i dialoghi fra i due santi, Vigilio e Gennaro. Il capolavoro vero dei due volumetti è però la generosità con cui il ricavato delle vendite e le libere offerte sono state destinate dall’autore all’Opera Nazionale Orfani Militari dell’Arma (Onaomac). Sono oltre mille gli orfani che l’Opera assiste - senza oneri per lo stato - negli studi, negli stage all’estero, nel prepararsi a un lavoro. Dal 2011 ad oggi Riccio ha inviato all’Onaomac ben trentamila euro, tutti documentati con precisione. È una grande cifra, raccolta da un solo uomo, se si pensa che «carmina non dant panem». Pane e guadagni la poesia non ne dà, ma opere buone sì, e anche segnali positivi, creativi, su un Paese, come l’Italia, che non vede solo corruzione, che non è Roma Ladrona o Mafia Capitale, ma rivendica presenze di bontà, di solidarietà, di voglia di riprendere un cammino comune. A questo invitano le poesie del maresciallo Riccio, fra mare e montagna. Insieme.


Intanto Riccio sta preparando il suo terzo libro, non solo sulle bellezze ma anche sui difetti trentini e sorrentini. Sarà un dialogo serrato - allusivo, metaforico, ironico - fra i due santi patroni, Vigilio e Gennaro, con altri beati a far loro corona. Deve «restare» l’Arma - suggerisce Riccio - ma anche il senso profondo di radici dei territori. Con «ànema e còre».

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