A tu per tu con Simone Anzani

di Andrea Coali

Siamo da qualche tempo usciti dalla delusione mondiale maschile e ho pensato di contattare un mio amico ed ex compagno di squadra che quest’anno, per la prima volta, ha fatto parte del gruppo della nazionale italiana per farmi  raccontare la sua esperienza in questa nuova dimensione pallavolistica: Simone Anzani.


Ciao Simone! Quest’ultima stagione ti ha definitivamente lanciato nel mondo della pallavolo che conta: prima la Serie A1, poi la World League e infine il mondiale… Te l’aspettavi?
Era più o meno marzo quando Mauro Berruto (il ct della nazionale, ndr) mi ha chiamato personalmente per comunicarmi il mio inserimento nel gruppo dei 22 atleti che avrebbero partecipato alla prima fase della World League. È inutile dirti che quella chiamata è stata uno dei momenti più intensi della mia vita: arrivare a vestire la maglia della propria nazionale maggiore è il sogno di qualunque atleta e finalmente era arrivato anche il mio turno. Ho dovuto tenere per me questa notizia fino alla fine del campionato: mi era stato infatti imposto il silenzio e quindi non ho potuto esternare la mia gioia con chi mi stava attorno. Ma è stato un prezzo che ho pagato ben volentieri. 
Il 27 aprile, quindi poco dopo la fine del campionato, abbiamo iniziato i collegiali e siamo stati divisi in due gruppi: sono logicamente partito con il “gruppo B” che si è allenato a Cavalese agli ordini di Andrea Giani, mentre il “gruppo A” cominciava l’avventura azzurra in World League.


E poi in Iran la prima gara…
Sì, è stato a Teheran che ho avuto la prima occasione per scendere in campo con la maglia azzurra e qui che, forse, ho convinto Berruto ad inserirmi nella lista dei 14 atleti partecipanti alla fase finale della World League. Ecco, questa è stata una convocazione forse inaspettata: se, da un certo punto di vista, speravo con tutto me stesso di essere inserito nei primi 22 dopo la buona stagione  fatta a Verona, l’essere inserito addirittura nel gruppo finale è stata una bellissima sorpresa. È stata veramente un’emozione fortissima: sono partito con zero pretese in questa nuova avventura e sicuramente avevo meno chances rispetto ad altri ragazzi che già da più anni erano nel giro della nazionale maggiore. Sapere di godere di così tanta considerazione invece mi ha riempito di orgoglio. La (prima) ciliegina sulla torta è arrivata con la finale terzo-quarto posto della World League: sono partito titolare e abbiamo conquistato la medaglia di bronzo.


E, infine, la convocazione ai mondiali…
Sì, diciamo che è stato il coronamento di questa fantastica estate. Non ero sicuramente certo al 100% di essere inserito nella lista per i mondiali:  mi sentivo bene a livello fisico e tecnico ed avevo buone sensazioni. Dopo un mese di preparazione abbastanza impegnativa a Cavalese, mi hanno comunicato la convocazione. Ero al settimo cielo!
In Polonia poi è stato davvero fantastico. Tralasciando il risultato sportivo, a livello personale è stata un’esperienza indimenticabile: essere parte di un mondiale, rappresentare la propria nazione, è sempre un’emozione fortissima. Poi c’era tutto il contesto polacco: lì il volley è lo sport nazionale e la passione della gente, oltre all’organizzazione, è paragonabile a quella che c’è da noi per il calcio. 


E con il gruppo? È stato facile inserirti?
Mah, a livello di gruppo pensavo fosse più difficile ambientarmi visto che era composto, fino a questa stagione, da persone che praticamente ero abituato a vedere solo in TV… e invece quest’anno mi sono confrontato con loro! C’era ovviamente un po’ di timore, soprattutto di essere giudicato in modo negativo. Tuttavia mi sono integrato quasi subito nel gruppo! La mia preoccupazione maggiore era a livello di equilibrio di gioco visto che il nucleo centrale della squadra si conosceva da molto tempo: il mio obiettivo principale  era inserirmi in questi schemi di squadra, anche relazionali e penso di esserci riuscito piuttosto bene.


E al mondiale che è successo?
Purtroppo, per diversi fattori, non abbiamo trovato la giusta alchimia per fare una coppa del mondo ai livelli che sulla carta ci competevano. A questo aggiungici poi l’infortunio di Ivan (Zaytsev): il secondo turno sarebbe stata una vera impresa passarlo. Il sogno si è infranto subito con la partita con la Serbia. Poi siamo stati bravi a farci forza e a chiudere il mondiale con la vittoria sull’Australia: serviva in termini di onore e orgoglio. Inoltre si può imparare molto soprattutto dalle esperienze “negative”: quindi tutti abbiano imparato tanto da questo mondiale.


E quest’anno ancora a Verona…
Quest’anno abbiamo proprio una bella squadra, con alcune individualità molto importanti: l’americano Sander su tutti  e in generale il reparto schiacciatori. Abbiamo quindi una rosa più lunga a livello di cambi e questo ci può permettere di fare molto bene. Puntiamo sicuramente a fare un campionato migliore dello scorso anno. Puntiamo ad essere gli outsider di turno.


Chiudiamo con una domanda generale… arrivare fin qua è sicuramente costato molti sacrifici.. guardando indietro ti pesa?
Guarda, io parto dal presupposto che in questo momento mi sento un privilegiato: noi sportivi in generale siamo privilegiati perché facciamo una cosa che ci piace, che ci dà gusto, che soprattutto ci regala delle emozioni forti e la facciamo per lavoro. Se guardo indietro non sono per nulla pentito: sono andato via a 16 anni da casa, direzione Treviso solo per la pallavolo. E d è un’esperienza che mi porterò dietro tutta la vita. In pochi possono farla  ed è una cosa di cui veramente vado fiero. Non mi pento assolutamente di tutti i sacrifici fatti perché seguire la strada dello sport è quello che ho sempre sentito di voler fare. E io credo che quando una cosa la si sente così intensamente bisogna farla, indipendentemente da tutto. E questo vale soprattutto a livello sportivo: in questo ambito il treno raramente passa due volte. Quindi bisogna saper cogliere l’occasione al volo.

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