Genova, la speranza viene dai giovani

Si dice che le cose positive non fanno notizia. D'altra parte ce n'è così poche in giro e anche quelle sacrificate alla cronaca nera che purtroppo la fa da padrone, o alla giudiziaria o agli aspetti peggiori della politica. Ma una cosa positiva tuttavia ha meritato in questi giorni grande evidenza ed è stata la partecipazione di tanti giovani al disastro di Genova. Nessuno li ha chiamati, si sono rimboccati le maniche, con pala e badile hanno cominciato a scavare e a rimuovere il fango che ha violentato i quartieri ancora una volta, dopo che non si è fatto nulla di quello che bisognava fare dall'ultima esperienza fotocopia. Ovviamente le colpe ricadono poi sempre sull'ultimo anello e quindi basta prendersela con le previsioni meteo sbagliate e tutti gli altri hanno la coscienza a posto. Che se poi le previsioni avessero permesso di dare l'allerta un giorno prima, i rimedi al di là dei sacchi di sabbia non sarebbero stati molti di più

di Sandra Tafner

Si dice che le cose positive non fanno notizia. D'altra parte ce n'è così poche in giro e anche quelle sacrificate alla cronaca nera che purtroppo la fa da padrone, o alla giudiziaria o agli aspetti peggiori della politica. Ma una cosa positiva tuttavia ha meritato in questi giorni grande evidenza ed è stata la partecipazione di tanti giovani al disastro di Genova. Nessuno li ha chiamati, si sono rimboccati le maniche, con pala e badile hanno cominciato a scavare e a rimuovere il fango che ha violentato i quartieri ancora una volta, dopo che non si è fatto nulla di quello che bisognava fare dall'ultima esperienza fotocopia. Ovviamente le colpe ricadono poi sempre sull'ultimo anello e quindi basta prendersela con le previsioni meteo sbagliate e tutti gli altri hanno la coscienza a posto. Che se poi le previsioni avessero permesso di dare l'allerta un giorno prima, i rimedi al di là dei sacchi di sabbia non sarebbero stati molti di più. 

 

Finchè si comprimono i torrenti sotto terra e si costruisce intorno tutto resta un palliativo. La Città invece deve poter pensare che i tempi cambieranno, che ci sarà un rinsavimento generale anche cominciando dal poco, da un modo di pensare più semplice, più naturale, più umano. È Giovanni Pascoli che ci dà lo spunto parlando de «Il fanciullino» che dovrebbe essere in tutti noi ma che attualmente ha perso la voce, quella nascosta in ogni uomo pronta a farsi sentire dandogli sensibilità, immaginazione e cuore. E da poeta afferma «l'uomo dei nostri tempi - era il 1907 - sa più che quello dei tempi scorsi e a mano a mano che si risale molto più e sempre più; i primi uomini non sapevano niente, sapevano quello che sai tu, fanciullo». La poesia è il veicolo per interpretare la vita al di là degli egoismi e dell'indifferenza e come tale ha un'utilità morale e sociale. Ma non basta. Forse è proprio il silenzio del fanciullino che oggi provoca tanti errori e rende tanti insensibili non solo agli appelli dei propri simili benpensanti ma anche a quelli della natura, violata, sfruttata e alterata.
 
Non potevamo stare a casa a vedere in Tv quel che stava succedendo, la disperazione della gente, lo sguardo incredulo degli anziani. Così dicono i ragazzi che si sono organizzati da soli, senza che le istituzioni li mettessero in campo previa burocrazia. Li chiamano angeli del fango, ma probabilmente loro non ci tengono a quell'etichetta, lo fanno perché il loro fanciullino non è addormentato e non lo sarà nemmeno quando, diventati adulti, porteranno un po' di speranza ovunque andranno. 
In queste occasioni si abusa del termine solidarietà, bisogna dare solidarietà, una parola che se resta tale non ha alcun significato e rischia di attenuarsi fino a scomparire quando sarà scomparso il fango. Troppe volte di fronte ai disastri e al rimpallo delle colpe si è aspettato che tornasse il sole per riprendere l'andazzo di sempre, nella speranza che la gente si dimentichi, nell'attesa di un miracolo qualsiasi. Finora, nei discorsi ufficiali, l'abbiamo sempre sentita come un fastidioso ronzio.
 
In fondo è quello che sostiene l'antropologo Annibale Salsa, già presidente generale del Cai: troppo spesso si pensa alla comunità in senso sociologico come somma di individui - il che è una formula perfetta ma altrettanto perfettamente fredda - anziché alla comunità come rapporto diretto tra le persone. È questo che viene meno per moltissimi motivi, anche a causa dei mezzi tecnologici che hanno cancellato il viso delle persone a scapito dei rapporti diretti. Ma non è tutto qui, anzi, questo è solo un comodo capro espiatorio. I mezzi basta usarli bene. A questo proposito l'associazione studentesca trentina «Stazione Futuro» racconta, per bocca del cofondatore Lorenzo Borgo, diciottenne, di essere riuscita a farlo tant'è che, utilizzando i social network, ha chiamato a raccolta molti ragazzi coinvolgendoli in progetti che puntano a costruire una società migliore. Lo slogan? «Non si vince combattendo il futuro, ma solo costruendolo insieme». Chissà che il cambiamento non cominci proprio dal basso, nonostante chi a quel cambiamento sarebbe preposto.
 
 sandra.tafner@gmail.com
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