Insulti al palazzetto, uno spettacolo triste

di Andrea Coali

Qualche giorno fa sono stato a vedere una partita di basket a Verona e, oltre al grandissimo spettacolo offerto dalle due squadre in campo, sono purtroppo stato colpito da una situazione che si è verificata tra gli spalti. In alcuni momenti caldi del match è capitato che gli arbitri commettessero alcune sviste, scatenando la sacrosanta “ira” del pubblico di casa. Ovviamente sono volati i classici sfottò verbali, come accade in qualsiasi platea sportiva, ma sono stato testimone diretto di una scena piuttosto triste. Un bambino che avrà avuto al massimo 10 anni gridava insulti, anche abbastanza pesanti, unendosi al coro degli altri tifosi. Ma la cosa peggiore è che ad ogni insulto si girava fiero verso il padre seduto accanto in cerca di un segno di approvazione, sentendosi incoraggiato a continuare ad inveire. Immaginatevi questo bimbo che portandosi le mani alla bocca urla un insulto, si gira verso il padre, che rimane indifferente al linguaggio usato, e torna ad urlare, ripetendo il tutto una decina di volte e cambiando sempre gli epiteti utilizzati! Io ne sono rimasto piuttosto impressionato.


Non si tratta di fare moralismi o di pretendere il rispetto del galateo all’interno dell’arena sportiva, luogo di svago e spesso anche di sfogo! È normale che il tifare porti anche all’utilizzo di aggettivi non proprio carini nei confronti di avversari e arbitri. Raccontando questo episodio vorrei sottolineare però il ruolo fondamentale che dovrebbero avere i genitori anche in questi momenti: è normale che il bambino sia portato ad agire come le altre mille persone che popolano il palazzetto, volendo sentirsi integrato in quel determinato contesto. Ma il vedere la totale indifferenza o peggio la più completa approvazione da parte del genitore nel momento in cui il figlio insulta altre persone perché colpevoli di uno sbaglio, è abbastanza triste. Proprio il fatto che il bambino si girava sistematicamente per vedere la reazione del padre dimostra quanto forse sarebbe bastato un cenno, un rimprovero, per insegnargli che quella non era forse la cosa più giusta da fare.

 

Un conto è un adulto che è da ritenersi responsabile e cosciente delle parole che usa, un conto è un bambino che le utilizza solo per sentirsi alla pari in una determinata situazione senza chiaramente avere piena consapevolezza di quanto dice. E non serve un genio per capire che una volta imparate ad utilizzarle in questa maniera, il ragazzino le riproporrà anche all’interno di altri contesti. Educare allo sport significa anche educare al rispetto delle regole e dell’avversario e in questo un padre deve avere un ruolo fondamentale, sia che porti il figlio a praticare uno sport, sia che lo porti ad assistere ad una gara.

 

Voi cosa ne pensate?

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