Ma il volley è un lavoro?

di Andrea Coali

Questo post vuole essere anche una risposta ad alcuni commenti che sono stati postati sotto altri articoli e che invitavano me e gli altri giocatori ad “andare a lavorare”. Io sono il primo che non considera la pallavolo uno dei lavori più pesanti o più utili. Su questo non ho alcun dubbio. Infatti studio non solo per garantirmi un futuro, ma anche per avere un’alternativa e per poter fare qualcosa che mi permetta di sentirmi pienamente realizzato. Però vi assicuro, e qua cercherò di darvi alcune informazioni, che di lavoro vero e proprio si tratta.


La vita di un giocatore “professionista” di pallavolo è suddivisa in settimane in funzione della gara di campionato. La settimana standard prevede, dopo il riposo del lunedì, una seduta doppia (ossia mattina e pomeriggio) nella giornata di martedì. Il mercoledì è di solito dedicato anch’esso a due allenamenti, così come il giovedì. Il fine settimana cambia invece a seconda che si giochi in trasferta o in casa. Se si gioca in casa, si avrà allenamento venerdì pomeriggio, sabato mattina e domenica mattina come rifinitura pre-gara: riposo dunque il venerdì mattina e il sabato pomeriggio. Se si gioca in trasferta invece la musica cambia, dato che al riposo del sabato pomeriggio si sostituisce il viaggio verso la città che ospiterà la gara di campionato.  La domenica, salvo anticipi, è il giorno del match. Le sedute mattutine del martedì e del giovedì sono normalmente dedicate al lavoro in sala pesi, mentre le sedute pomeridiane e le altre mattutine prevedono l’allenamento tecnico sul parquet. A ciò vanno aggiunti i momenti di riunione tecnica in preparazione alla gara, uno il venerdì e uno la domenica prima degli allenamenti, e il momento di analisi della partita precedente il martedì pomeriggio.


Non sono poi rari i casi in cui si inizia il lunedì pomeriggio o in cui si aggiungono sedute mattutine. Come è facile notare, il monte ore di allenamenti non è sicuramente basso. Ovviamente la durata di ogni sessione dipende dall’allenatore che si ha di fronte e dal metodo da lui utilizzato. All’attività in palestra vanno poi aggiunte le attività collaterali che ogni società fa svolgere ai suoi atleti, come rappresentanze a convegni, fiere, apparizioni in TV, progetti con gli enti del territorio, che cadono o nei giorni di riposo mattutino o nel periodo serale.


Alcuni potrebbero obiettare che effettivamente il tempo libero non è poco. Sono completamente d’accordo, ma in questo tempo libero bisogna far conciliare alcune cose e spesso non è facile: se una persona si dedica solamente al volley, deve imparare a gestirsi in funzione dell’allenamento. Il suo lavoro è la pallavolo, viene pagato per giocare: non ci si può quindi permettere di arrivare in palestra stanchi o poco lucidi poiché non si è dedicato il tempo necessario a ricaricare le pile. Ecco quindi che già una buona parte del tempo libero se ne va. Se poi, come me ed altri, alla pallavolo si affiancano altre attività, come lo studio, ecco che bisogna incastrare nei momenti liberi sia il tempo di recupero che il tempo dedicato ai tomi universitari: non sempre è facile far combaciare le cose e a volte bisogna sacrificare anche qualche uscita o altre attività che per coloro che vivono di sola pallavolo sono invece la normalità.


Inoltre, altra piccolo punto, è l’assenza di qualsivoglia festività: i campionati si svolgono anche sotto Natale, Epifania, Pasqua, Giornata del lavoro eccetera. Il weekend non esiste: la giornata libera è solo il lunedì, a meno che non si giochi l’anticipo del sabato. È vero, abbiamo una pausa estiva notevole, ma durante questa pausa non percepiamo uno stipendio e, se si vuole continuare a giocare e trovare un buon ingaggio, è bene tenersi allenati ed in forma, poiché ad agosto si riprende. Giocare a questi livelli è lavorare: un lavoro sicuramente piacevole, ma non per questo poco impegnativo. E si potrebbe anche parlare dell’importantissimo ruolo sociale dello sport e di tutto ciò che vi ruota attorno. Ma questa è un’altra storia.

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