Lo sport, i giocatori e la crisi economica

di Andrea Coali

Una domanda che può sorgere spontanea guardando i roster di A2 di quest’anno è: come mai la squadra di Avellino è sparita dalla circolazione dopo la sesta giornata di campionato? La risposta è molto semplice: la società è fallita per mancanza di disponibilità economica.
In questo post, provo a fare un po’ di chiarezza sul meccanismo che le società si trovano di fronte al momento dell’iscrizione al campionato, il che ci permette di capire che garanzie possono avere i giocatori dal punto di vista economico e come faccia una società a fallire.
Partiamo da una piccola premessa di carattere generale. Con le difficoltà che oggi hanno le aziende, sicuramente nella lista delle loro priorità, alla voce “uscite”, non hanno al primo posto le varie sponsorizzazioni. Questo significa che, realisticamente, se una società pallavolistica punta a spendere 100 per la stagione sportiva, dovrebbe trovare fondi necessari non solo a coprire quel 100, ma anche sponsor/fondi pronti a subentrare nel caso qualcosa dovesse andare storto (vedi qualche azienda che fallisce o si ritira dalla sponsorizzazione per problemi economici), in modo da poter supplire all’eventuale mancanza.
Detto ciò, passiamo alla pratica.
All’atto dell’iscrizione per il corrente campionato di A1/A2, ogni società doveva aver versato almeno l’80% dei compensi ai giocatori della stagione precedente entro il 14 giugno. Il 100% dei versamenti doveva essere invece raggiunto entro il 30 settembre.
Cosa succede se una società non riesce a saldare i debiti della passata stagione entro questa data? Il giocatore può avviare un contenzioso presso la Lega Pallavolo. Quest’ultima concede un mese di tempo aggiuntivo, al termine del quale, se la società non ha ancora saldato i suoi debiti, interviene prelevando la cosiddetta fidejussione.
La fidejussione è una somma che deve essere versata da ogni società al momento dell’iscrizione, che varia a seconda della percentuale di stipendi correntemente pagati. Ovviamente se una società ha pagato il 100%, la sua fidejussione sarà minore dato che non deve coprire le eventuali inadempienze relative alla stagione passata. Questa cifra serve per garantire i debiti esistenti tra società (prestiti, multe…) e in secondo luogo per risarcire gli eventuali compensi mancanti di giocatori e staff tecnico. Alla fine della stagione, se non vi è alcuna segnalazione, la somma viene restituita.
La Lega di conseguenza verifica l’inadempienza segnalata dal giocatore e, in caso positivo, riscuote la cifra necessaria prelevandola da questa somma “di garanzia”.
La società, a questo punto, ha 30 giorni di tempo per ripristinare la fidejussione alla sua somma originaria: se non lo fa, viene esclusa dal campionato in corso.
Possiamo quindi dire che la fidejussione va inizialmente a coprire i debiti non pagati relativi alla stagione precedente, tra l’altro non interamente, ma secondo delle percentuali definite di volte in volta.
Ma cosa succede se, come purtroppo a volte accade, le società tardano a pagare gli stipendi ai giocatori durante la stagione in corso? In questo caso il giocatore ha ben pochi poteri. La fidejussione infatti può essere riscossa solamente alla fine del campionato. Un giocatore che non venisse pagato regolarmente, o addirittura, caso limite, non venisse mai pagato, non può smettere di allenarsi e andarsene pena il suo passaggio nel torto. Sì, perché in questo caso è il giocatore a non adempiere ai suoi obblighi contrattuali (presentarsi ad allenamento, alle partite…) e non la società: il giocatore che smettesse di giocare poiché non viene pagato, non vedrebbe sostanzialmente un soldo. Può appellarsi alla Lega, ma questa non ha alcun potere relativo alla stagione in corso. Dovrebbe aspettare la fine della stagione per cercare di riscuotere il compenso tramite il ricorso alla fidejussione e poi, semmai, per vie legali.
Tutto questo discorso serve per far chiarezza su alcuni aspetti più “oscuri” del mondo della pallavolo. Il tutto è poi correlato al fatto che la pallavolo non è uno sport professionistico, bensì dilettantistico. Fiscalmente il giocatore risulta coma un “dilettante che percepisce un reddito”: significa che non si hanno le basilari tutele che un normale lavoratore dipendente ha, così come non si ha diritto a TFR o fondo pensione.
La possibilità di un’eventuale passaggio al professionismo è oggetto di discussione da più di 15 anni, ma non è questo il tempo adatto per riproporla, vista la crisi economica che si sta attraversando. L’occasione per passare al professionismo c’era stata: le società, i giocatori, i procuratori, si erano riuniti attorno a un tavolo e avevano studiato una specifica legge ad-hoc per il volley. Ma tutto è andato in fumo, vuoi per la poca convenienza che le società derivano, in termini economici, dal passaggio, vuoi per l’inesistenza di un sindacato di categoria, vuoi per altre ragioni a me nascoste.
Per la prossima stagione, il totale degli stipendi da pagare per iscriversi sarà del 90%, col limite fissato ad agosto per il 100%. Sta di fatto che il giocatore di volley non ha quelle tutele che esistono in paesi, come Austria e Francia, dove questo sport è considerato professionistico. Staremo a vedere cosa succederà in futuro. Nel prossimo post vi parlerò della sopracitata questione Avellino: una società di A2 che è fallita in queste settimane, proprio per motivi legati a quelli descritti in questo post.

comments powered by Disqus