Il ministro Carrozza, gli studenti e i ribelli

Se il ministro Carrozza intendeva solamente «fate qualche sciopero e qualche corteo in più, o gridate in piazza più soldi alla scuola» non ha dato una grande originalità di contributo alla loro vita. Oggi essere controcorrente da coscienze libere e creative, eventualmente, è fare l'opposto

di Pierangelo Giovanetti

Egregio Direttore, confesso che sono rimasto molto spiacevolmente stupito nell'apprendere dai giornali che la Ministra dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza, in occasione dell'apertura del recente anno scolastico, avrebbe invitato i ragazzi ad essere «ribelli». Certamente, mi auguro che la stessa abbia effettivamente voluto dire «rivoluzionari». Però, il fatto che abbia dimostrato di non conoscere la sostanziale differenza di significato ed il conseguente agire che i due termini comportano (non a caso sulla facciata che ospita il Centro Bruno è subito comparsa la scritta «Be student, be rebel»), non è certo un bel biglietto da visita.
Il fatto che la Ministra possa aver sollecitato la «sollevazione contro l'autorità costituita ed il rifiuto di obbedienza» (ribellione) da parte dei giovani anziché incentivare la loro forza e capacità di «rivoluzionare radicalmente la nostra realtà» dall'interno e senza atti violenti (rivoluzione), preoccupa non poco. Credo infatti che per un Ministro dell'Istruzione sia indispensabile utilizzare con assoluta proprietà il linguaggio, nella consapevolezza dei relativi messaggi e valori che ogni termine può veicolare.


Non sappiamo se Maria Grazia Carrozza, ministro dell'Istruzione del governo Letta, una fisica specializzata in bioingegneria industriale, sia scivolata sulle parole, usando il termine «ribelle» al posto di altro. Invitare gli studenti ad essere ribelli nell'Italia del 2013, sa un po' di datato e di nostalgico di ere geologiche sepolte dalla storia quando essere studente faceva rima con contestazione, e impegno significava proteste e manifestazioni.
Oggi, semmai, i giovani studenti sono più concreti, e chiedono aule e scuole attrezzate per studiare e prepararsi adeguatamente alle sfide della vita; professori capaci e motivati in grado di trasmettere sapere e formare spiriti liberi e maturi; orientamento opportuno sulle scelte del mondo del lavoro; spazi di responsabilità e occasioni per essere messi alla prova, anche nella società e nel lavoro.
Forse anche se avesse usato la parola «rivoluzionari», al posto di ribelli, rischiava di essere «sfasata» rispetto a ciò che oggi i giovani chiedono alla vita, a se stessi e agli adulti. Più probabilmente il richiamo del ministro va inteso come un invito ad essere «coscienze libere e critiche», capaci di farsi domande, porsi dubbi e cercare nuove risposte, senza accodarsi al mainstream generale che individua il giovane come il bamboccione di mamma, tutto concentrato su Ipod e Iphone, preoccupato solo di essere vestito come gli altri, tatuato e piercingato come gli altri, piegato senza speranza ad un mondo che offre loro solo un grande futuro dietro le spalle.
Il vero ribelle, oggigiorno, è chi si oppone e rifiuta tutto questo, cerca di cambiare la vita e le cose sforzandosi di fare meglio di quanto ha fatto la generazione precedente, impegnandosi di più, trovandosi spazi dove la società non ne ha lasciati, inventandosi cose che ancora nessuno ha inventato, usando la forza delle idee e il coraggio di cambiare come arma per conquistarsi il proprio ruolo in una società che è giovani-repellente.
Se il ministro Carrozza intendeva solamente «fate qualche sciopero e qualche corteo in più, o gridate in piazza più soldi alla scuola» non ha dato una grande originalità di contributo alla loro vita. Oggi essere controcorrente da coscienze libere e creative, eventualmente, è fare l'opposto.
p.giovanetti@ladige.it
Twitter: @direttoreladige

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