Bergoglio, i martiri e la condanna della dittatura

Con papa Francesco la triste pagina della dittatura argentina può trovare la parola fine, purificando la memoria e riconciliando un popolo. Ma può segnare un riscatto e una conversione anche per la Chiesa intera che, impegnata con papa Wojtyla ad abbattere il comunismo, temette che la teologia della liberazione potesse introdurre surrettiziamente le suggestioni del marxismo e della lotta di classe, e ne fermò il corso

di Pierangelo Giovanetti

Gentile direttore, non ci poteva essere smentita più forte alle illazioni su un presunto coinvolgimento di Jorge Bergoglio con la dittatura argentina della notizia che già nel 2011 l'allora arcivescovo di Buenos Aires aveva firmato la causa per la canonizzazione di Carlos de Dios Murias, torturato e ucciso dal regime. In silenzio, senza sbandierarlo ai quattro venti, quando non era ancora papa Francesco, Bergoglio prese posizione netta sugli anni della dittatura, schierandosi dalla parte delle vittime di Videla. E forse proprio Murias potrebbe essere il primo santo di papa Francesco. Questo si aggiunge alle parole chiare e forti che Bergoglio pronunciò a nome della Chiesa argentina per chiedere perdono alle vittime e allo stesso popolo argentino per i legami di parte della gerarchia con la giunta militare.
L'elezione a papa di Bergoglio segnerà una riconciliazione anche per l'Argentina dopo anni di divisioni e di lacerazioni interne, e purificherà la Chiesa e la memoria di quegli anni terribili della dittatura.


Carlos de Dios Murias era un giovane prete francescano schierato dalla parte dei poveri e degli oppressi. Il suo forte impegno sociale lo aveva reso inviso anche a parte della gerarchia stessa, preoccupata che la teologia della liberazione aprisse la Chiesa al marxismo. Venne catturato dai militari nel 1976, torturato e ucciso. Aveva 31 anni.
Se Murias verrà beatificato da papa Francesco non sarà solo un martire della dittatura che viene elevato all'onore degli altari. Segnerà la condanna definitiva della Chiesa, al livello più alto con il vescovo di Roma, verso la dittatura argentina che imperversò fra il 1976 e il 1983.
Non è solo la riabilitazione di un prete ucciso per la sua fede nel Cristo dei poveri, ma segna uno spartiacque irreversibile che condanna un regime dittatoriale sedicente cristiano e riconosce i martiri, anche i propri, delle violenze e delle torture di quella dittatura. Primo fra tutti Enrique Angelelli, fatto vescovo da papa Giovanni, rimosso per le resistenze di settori conservatori della Chiesa argentina, di nuovo scelto da Paolo VI come vescovo di La Rioja, uno degli angoli più poveri dell'Argentina, che si ribellò al regime segnando la sua condanna. Per monsignor Angelelli non ci fu nemmeno il riconoscimento del martirio perché fu ucciso in maniera infame simulando un incidente stradale. Murias era suo discepolo e ripeteva che un cristiano non può rimanere inerte di fronte alla povertà dei suoi fratelli.
Con papa Francesco la triste pagina della dittatura argentina può trovare la parola fine, purificando la memoria e riconciliando un popolo. Ma può segnare un riscatto e una conversione anche per la Chiesa intera che, impegnata con papa Wojtyla ad abbattere il comunismo, temette che la teologia della liberazione potesse introdurre surrettiziamente le suggestioni del marxismo e della lotta di classe, e ne fermò il corso. Per la Chiesa dell'America latina, che a Puebla gridò con forza la sua scelta preferenziale per i poveri, vorrebbe dire ritrovare se stessa e le radici profonde della propria testimonianza di fede, in una Chiesa «povera e per i poveri», come ha indicato papa Francesco all'inizio del suo pontificato. Allora il sangue dei martiri, come Carlos de Dios Murias, monsignor Angelelli e il vescovo Romero, non rimarrà versato invano.
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