Radio radicale, contributi pubblici e giornali

di Pierangelo Giovanetti

Egregio direttore, leggo su Avvenire del 18 novembre scorso: «Mannaia su decine di testate di giornali» per mancanza di fondi all'editoria, con un gran numero di senza lavoro; ma per l'oligopolio televisivo e per i Radicali i soldi ci sono sempre ed in abbondanza. Basta con queste elargizioni a nostre spese e      senza il nostro consenso, alla TV ed una radio che secondo lo Stato manda in onda i lavori delle due Camere. La Rai, dal canto suo, ha iniziato la trasmissione delle sedute parlamentari attraverso Gr parlamento, così come le sedute parlamentari vengono trasmesse costantemente sui canali satellitari.
Non vedo perché deve esserci un doppione su una radio che non è gradita a tutti e non è governativa ma di un partito che ha già fatto grandi danni a noi italiani e continua a mettere in discussione leggi già approvate e confermate con referendum (con uno spreco di denaro pubblico) vedi legge 140. Ora oltre 3.000.000, di euro ricevuti a fine dicembre 2011 più  7.000.000 di euro con il decreto «Milleproroghe», e qui dobbiamo dire grazie anche ai parlamentari cattolici che hanno avuto la spudoratezza di dire in Tv che hanno firmato per leggere poi le stupidaggini che dicono su di loro, ossia sui cattolici; ma basta che finanzino loro con i propri soldi queste baggianate e non con i nostri. Dopo quanto sopra i Radicali ricevono anche 4.200.000 di euro dalla UE e se non bastasse ora ne hanno ricevuti altri 10.000.000 sempre di euro. Allora i nostri soldi per chi vogliono ci sono ma per le testate cattoliche, per le famiglie, per le scuole paritarie che fanno risparmiare allo Stato 100.000.000 di euro l' anno, alle mense ed aiuti ai poveri alle quali vogliono applicare l' IMU, no.
I doveri dello Stato sono solo strapagare una schiera interminabile di politici, ma lo sono poi?
Maria Michelazzi Orlandi  - Lavis


In Italia molti giornali e quotidiani politici, spesso con un numero complessivo di lettori che potrebbero comodamente sedere in una stanza, o editi da cooperative, hanno beneficiato ogni anno di cospicui contributi statali. Tra i beneficiari di ricche elargizioni pubbliche anche radio radicale che, grazie la sua collaudata capacità di lobby e di pressione sui politici, ad ogni ipotesi di taglio o di riduzione di contributi, riesce a mobilitare in parlamento schiere di parlamentari che le fanno rinnovare il finanziamento.
Qualche esempio di come vengono redistribuiti tali fondi per l'editoria: nel 2010 per il 2009, lo Stato ha erogato 150 milioni di euro. Tra questi: L'Avanti di Valter Lavitola ha ricevuto 2 milioni e 530.000 euro; il Manifesto, 3 milioni e 745.000 euro; la Padania, 3 milioni e 896.000 euro; Rinascita, 2 milioni e 489.000 euro; il Secolo d'Italia, 2 milioni e 952.000 euro; L'Unità, 6 milioni e 377.000 euro; Avvenire, 5 milioni e 871.000; il Foglio di Giuliano Ferrara, 3 milioni e 441.000 euro; Liberazione, giornale comunista, 3 milioni e 340.000 euro; Europa, 3 milioni e 527.000 euro; Liberal, 2 milioni e 798.000 euro; Conquiste del Lavoro, 3 milioni e 289.000 euro. E così via, in un elenco che comprende anche periodici come Il Mucchio selvaggio, Motocross, il Salvagente, Metropolis, Ottopagine, Romanista, eccetera eccetera.
Il governo Monti ha cercato di porre un freno a tali contributi a fondo perduto, con alterne fortune, visto i forti agganci che tali organi di informaizone hanno fra le forze politiche e gli esponenti politici di spicco. Oggettivamente tale forma di contributo non ha più ragion d'essere, visto che molti di quei giornali sono editi esclusivamente, o quasi, per usufruire dei contributi statali.
In tutto questo va precisato un punto, che non sempre è chiaro e ben presente a tutti i lettori: l'Adige, quotidiano indipendente del Trentino Alto Adige, non percepisce alcun contributo statale, né finanziamenti per l'editoria. L'Adige si sostiene esclusivamente con il sostegno dei lettori, che lo acquistano ogni giorno, e della pubblicità.
 Quindi non fa parte di tutto il folto elenco dei giornali e riviste che si ripartiscono tali fondi statali.
Spacciare il mantenimento dei sussidi statali come una battaglia di pluralismo è una mistificazione, perché incoraggia invece al mantenimento di giornali inconsistenti e che, nella maggior parte dei casi, non legge nessuno.
Una battaglia seria per il pluralismo e per l'editoria, sarebbe caso mai, quella di chiedere che le risorse risparmiate con fogli fantasma venissero riversate per informatizzare la rete distributiva e favorire l'innovazione tecnologica del settore, di cui beneficerebbero non solo i giornali, ma i lettori tutti. Questa sarebbe una battaglia seria per il pluralismo. Non la difesa di rendite garantite e di non più sostenibili privilegi giornalistici e politici.
 p.giovanetti@ladige.it

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