Rovereto, lo scalo merci e l'Italia alla deriva

di Pierangelo Giovanetti

Egregio direttore, leggo sull'Adige di nuovi tagli in Trentino da parte di Trenitalia (a questo punto farebbe bene a chiamarsi Treni-taglia). Questa volta si chiude lo scalo merci di Rovereto, con penalizzazioni ingenti per le aziende. Le Cartiere del Garda ipotizzano un aggravio del 10% nei costi di logistica. Credo vuol dire diverse centinaia di migliaia di euro l'anno. Ora le Cartiere sono un'azienda di 509 dipendenti, pronti a salire ancora nei prossimi mesi. Ma è questo il modo di aiutare l'economia? Una mazzata come quella di Trenitalia non rischia di mettere in pericolo il posto di lavoro di oltre 500 dipendenti in Trentino? La Provincia, che è un lauto finanziatore di Trenitalia, sta a guardare e basta? Non ci rendiamo conto che, se le Cartiere se ne vanno, oltre a 500 disoccupati in più e 500 famiglie del Basso Trentino senza stipendio, avremo anche meno soldi nelle casse provinciali con i nove decimi. E tutto perché Trenitalia vuole risparmiare qualche soldo.
 Mario Sartori


L 'apertura dello scalo ferroviario di Rovereto ha un costo annuo di 130.000 euro. Garda Cartiere pagava, per la sua parte, 90.000 euro. Questo vuol dire che Trenitalia ha deciso la chiusura dello scalo per uno scarto di soli 40.000 euro. Non importa se tale decisione porta ad aumentare i costi a Garda Cartiere di mezzo milione e più l'anno di ulteriori spese di logistica. Il ragionamento di Trenitalia è ormai solo di interesse immediato di cassa, e non più di servizio al territorio o ai clienti.
La cosa più vergognosa di tutta questa vicenda, non è soltanto l'irrisorietà dello scarto economico per cui Trenitalia ha deciso la chiusura dello scalo (cifra che bastava chiedere all'azienda, garantedole in cambio l'apertura continuata). Ma il fatto che, per avere una risposta da Trenitalia e Rfi, le Cartiere del Garda hanno dovuto attendere oltre un anno (vedi servizi a pagina 27 dell'Adige di oggi), con costi, energie, ore di lavoro dei vertici aziendali e inutili attese. E un altro mese e mezzo è passato dalla richiesta della Provincia a Roma per trovare una soluzione condivisa e utile al territorio.
Ciò non è ammissibile: che a Roma se ne freghino delle conseguenze sul territorio delle loro azioni, dei tempi insostenibili per un'azienda che deve programmare il proprio futuro, dei danni enormi che causano con le loro burocrazie sull'economia di una regione. Come può l'Italia essere un Paese competitivo con tali sistemi feudali e baronali da parte di una partecipata dello Stato? Come può un sistema-Paese di tal fatta fornire garanzie ad un imprenditore disposto ad investire? Come può una rete di servizi che funziona come nel medioevo, con tempi biblici di reazione e ottusità da socialismo reale, essere il supporto per un'economia di crescita, competitiva e dinamica?
Con monopoli, burocrazie e ostacoli del genere, finché Trenitalia e Rfi di comporteranno in tal modo, l'Italia non può avere futuro. Non ci possono essere investimenti, imprese, capitali dall'estero: è come lottare contro i mulini a vento, con un sistema avverso che fa di tutto per scoraggiare la crescita e lo sviluppo.
Probabilmente non basterà nemmeno un governo tecnico a cambiare tale stato di cose. Serve un radicale cambio di cultura e di mentalità dell'intero sistema Paese. La vicenda dello scalo merci di Rovereto è tristemente  simbolica.
 p.giovanetti@ladige.it

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