Il pedone anarchico

Si ostina a non seguire le corsie obbligatorie, pensate per la sua "sicurezza", ma a scegliere le traiettorie più consone al suo itinerario urbano

di Barbara Goio

 

In un incontro tra amministratori e commercianti in quel di Rovereto, la settimana scorsa si parlava di viabilità quando il discorso è scivolato sul «pedone anarchico». Niente a che vedere con la figura degli scacchi: è costui, o costei, una persona che va in giro per la città a piedi scegliendo la traiettoria più comoda, infischiandosene degli attraversamenti delle strade pensati apposta per garantire la sua incolumità. 
 
Il «pedone anarchico» è anche la croce di ogni buon tecnico della viabilità che vorrebbe a tutti i costi costringerlo, naturalmente per il suo bene e la sua sicurezza, a seguire un certo percorso. Peccato invece che il pedone per sua natura sceglie incomprensibili attraversamenti, ignorando ogni tipo di ostacoli o di strisce pedonali, bypassando ringhiere, ignorando i semafori, zigzagando tra auto in coda. 
 
Quando si parla delle diverse esigenze di auto, bici e pedoni, non si può ignorare il problema che però, al di là delle facili battute, e anche delle non poche arrabbiature che suscitano i «pedoni anarchici», prende la sua origine da un fatto certo: chi va a piedi ha la consapevolezza che in fondo la città è casa sua, che è stato lui a colonizzarla per primo (lo testimoniano le antiche stradine dei centri storici e dei paesi) e che macchine, moto e bici sono arrivate dopo, e sono percepite sempre come “invasori”.
 
E’ quindi duro, e anche un po’ ingiusto, pretendere che chi ha il diritto di passo sia anche costretto a fare dei giri da PacMan per attraversare le strade «in sicurezza», per il suo bene, viene sempre ribadito.
 
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