I consiglieri, i soldi e la scusa della privacy

Oggi un consigliere provinciale del Trentino può spendere soldi pubblici dei cittadini in un resort di lusso della Sardegna con vista mare, accompagnato da chissà chi e servito a caviale e champagne, senza che debba rendere conto a nessuno della spesa. Basta solo affermare che il soggiorno aveva «finalità politiche». Nessuna norma o autoregolazione del consiglio impone infatti dei criteri, dei limiti, dei contesti, delle categorie di spesa consentite e altre non ammesse

di Pierangelo Giovanetti

LETTERA 1

 

Caro Direttore, sono una casalinga ottantaduenne che sul Suo e nostro giornale ha letto l'articolo di Luisa Maria Patruno riguardante la riservatezza invocata da autorevoli rappresentanti politici locali sul rendiconto delle spese sostenute dai Consiglieri provinciali, pagate con fondi pubblici.
Sono rimasta a dir poco sconcertata dalla dichiarazione dei politici che hanno affermato esistere «una sfera di discrezionalità e di riservatezza dell'attività politica che secondo noi va riservata» anche se i soldi sono pubblici. Ho pensato di essere molto esigente per quanto riguarda il comportamento delle persone che ci governano,ma mi è venuto in soccorso l'articolo di G. Zagrebelsky, letto in un secondo momento sul giornale «La Stampa», intitolato «I fuori onda aiutano la democrazia». L'articolo mi sembrava poco attinente con le dichiarazioni dei politici citati da l'Adige. Proseguendo nella lettura ho invece appreso che l'eminente giurista e la sottoscritta, nel caso specifico, la pensano allo stesso modo.
Il dottor Zagrebelsy afferma tra l'altro che: «In democrazia tutto ciò che appartiene o incide sulla vita pubblica deve poter essere noto ai cittadini». L'articolo contiene delle interessanti considerazioni che valgono la pena di essere lette e meditate.
Gradirei un Suo parere in merito.

 

LETTERA 2

 

Apprendo nella puntuale cronaca di Maria Luisa Patruno quella invocazione alla riservatezza sull'uso dei soldi pubblici per l'attività politica. Nulla, sia chiaro, in confronto ai vergognosi sperperi di forchetta romana, ma ugualmente, avverto un po' di fastidio là dove – lo ha dichiarato Giorgio Lunelli – leggo: «Se io ho un incontro riservato e vado a pranzo con una persona può rappresentare un problema dover pubblicare la spesa con il nome della persona…». Ma è necessario, per parlare di politica, andare a pranzo? Non bastano per ricevere gli ospiti, gli splendidi uffici a disposizione dei consiglieri? C'è davvero bisogno di «nascondere» un interlocutore visto che i palazzi della politica dovrebbe essere di vetro? E cosa dire dei concittadini che, per il pranzo, debbono andare al desco della Caritas?

 

LETTERA 3

 

Caro direttore, che delusione! Il capogruppo del Pd in Consiglio Provinciale, Luca Zeni, solitamente tanto bravo nel denunciare i casi di non perfetta trasparenza e rigore (degli altri), invoca la «discrezionalità» per sé. «Perché dobbiamo dire a tutti di aver commissionato un sondaggio?», si è infatti chiesto sull'Adige a riguardo delle spese dei gruppi consiliari. Perché, invece, io mi chiedo, i consiglieri possono spendere dei soldi pubblici per sondaggi di cui non si conosce la scientificità? Perché possono commissionare dei lavori a privati senza alcuna gara trasparente? Non sono spese che possono sostenere invece i partiti? Perché si è tanto attenti e scrupolosi nel valutare gli altri e altrettanto indulgenti con il proprio operato?

 


Invocare la privacy per non rendere conto di come vengono spesi i soldi pubblici da parte dei consiglieri provinciali trentini e dei vari gruppi politici, è l'ultimo disperato tentativo di conservare privilegi assurdi e ingiustificati, come quello di autoassegnarsi fondi consistenti, oltre alla propria già lauta indennità, da spendere e spandere senza alcun tipo di controllo o di verifica da parte di alcuno.


La riservatezza in questo caso c'entra come i cavoli a merenda. Non si tratta infatti di sapere con chi vanno a pranzo i consiglieri provinciali, ma di portare la ricevuta certificando la spesa fatta (cosa che in Trentino - alla faccia della tanto decantata trasparenza - non esiste).


In secondo luogo si tratta di effettuare una verifica di congruità della spesa. Oggi un consigliere provinciale del Trentino può spendere soldi pubblici dei cittadini in un resort di lusso della Sardegna con vista mare, accompagnato da chissà chi e servito a caviale e champagne, senza che debba rendere conto a nessuno della spesa. Basta solo affermare che il soggiorno aveva «finalità politiche». Nessuna norma o autoregolazione del consiglio impone infatti dei criteri, dei limiti, dei contesti, delle categorie di spesa consentite e altre non ammesse.


Terzo, i consiglieri provinciali di Trento non si sono mai dati un tetto economico della spesa consentita. Al ristorante possono andare pagando 50 euro a testa, o 500 euro a testa, che nessuno ha nulla da ridire. Perché nessun regolamento interno stabilisce soglie, tetti, o limiti di spesa.
Questo è ciò che è intollerabile del Consiglio provinciale di Trento, e bene fa Roma ad intervenire e a porre dei limiti, se l'Autonomia non è capace di autoregolamentarsi da sola. Chiedere delle regole per come questi soldi vengono spesi non c'entra nulla con la riservatezza. È solo questione di corretta amministrazione, trasparenza, autocontinenza, decenza della politica.


Non capire questo vuol dire aver perso il contatto con la realtà, e con la vita di tutti i giorni. E per chi deve prendere decisioni pubbliche è grave.

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