L'orso, San Romedio  e i tanti visitatori

di Pierangelo Giovanetti

Caro direttore, abbiamo letto sull'Adige che entro il mese di agosto dovrebbe tornare l'orso a San Romedio. Nonostante le serie motivazioni culturali, scientifiche, etiche, portate da tutto il mondo animalista affinché non vengano più rinchiusi orsi in quel luogo sembra che la tradizione e gli interessi economici abbiano avuto ancora una volta la meglio.
Uno degli esperti più rinomati, Rudigher Schmiedel consultato a livello europeo per progettare ambienti dove accogliere orsi nati in cattività, dopo aver visitato San Romedio nel periodo in cui vi era rinchiusa Jurka, nella sua relazione ha affermato che il luogo non è assolutamente adatto ad ospitare un orso, nemmeno se nato in cattività; che non debbono essere lasciati animali da soli e che per offrire un minimo di spazio vitale ad un animale di tale specie, è necessario ampliare il recinto fino ad almeno un ettaro.
Questo per dare all'orso l'indispensabile possibilità di muoversi, di evitare seri problemi alle articolazioni a causa dell'elevata umidità e dell'insufficiente esposizione al sole del piccolo recinto  e non per ultimo di nascondersi quando non desidera contatti con l'uomo.
Ci chiediamo poi come dei  frati che si rifanno all'insegnamento di Francesco d'Assisi, noto per il suo amore incondizionato verso gli animali e ogni essere vivente, possano essere  favorevoli al ritorno dell'orso sfruttandolo come attrazione turistica.
Inoltre ai bambini che  visiteranno  l'orso in gabbia, verrà trasmesso un messaggio totalmente diseducativo.
Un' educazione  che mira a formare un futuro cittadino consapevole, dovrebbe trasmettere il rispetto per ogni essere vivente e non abituare i bambini  a trattare gli animali come fossero oggetti ad uso e consumo dell'uomo.
 Marcello Dell'Eva, Anna Pilati


L a presenza dell'orso a San Romedio vanta una tradizione di lunga data, sempre apprezzata dalla popolazione e dai visitatori, di grande attrattiva anche perché legata alla figura di Romedio, l'amico degli orsi. Da tempi immemorabili il santuario ha avuto la funzione di far familiarizzare i trentini e i turisti con un animale, l'orso, che nell'immaginario collettivo trasmette paura, inquietudine, istintiva repulsa perché collegato alla montagna selvaggia e insidiosa per i suoi pericoli. Insomma, proprio la presenza in loco dell'animale ha consentito alle popolazione di prendere dimestichezza con quello che è  ormai un abitatore diffuso delle nostre montagne e dei nostri boschi.
È vero che gli orsi (come tutti gli animali) hanno bisogno di spazi. Ma è anche vero che in tutto il mondo esistono zoo in cui gli animali vivono in cattività, e che consentono a milioni di persone e di bambini di conoscere da vicino le diverse specie, imparando ad amarle, apprezzarle, rispettarle, vincendo timori e pregiudizi atavici che spesso circondano il rapporto uomo-animale alimentando paure ingiustificate.
Del resto, il successo di parchi come quello di Spormaggiore, che ospitano in cattività non solo l'orso bruno, ma anche i lupi, e a breve la lince, la lontra, il gatto selvatico, i gufi reali e la volpe, dimostrano come anche queste soluzioni «addomesticate» siano di grande utilità per la conoscenza del grande pubblico. Una media di settecento visitatori al giorno si reca in val di Non per vedere dalle sbarre le sorelle Cora e Cleo, e Bel, l'orsa più vecchia d'Europa con i suoi 46 anni suonati.
Il ritorno del plantigrado a San Romedio, se accompagnato dalle necessarie cure e attenzioni che l'animale merita, non è poi una cosa così riprovevole. Anzi, forse può aiutare a far superare ai trentini (e non solo a loro) tutta quella crescente avversione nei confronti dell'orso, che si è alimentata negli ultimi anni dopo il successo dell'operazione «Life Ursus».
 p.giovanetti@ladige.it

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