Il Trentino, l'Italia e il rischio bancarotta

Se il Trentino fosse un mondo a parte, fuori dall'Italia e dall'Europa, escluso dalla crisi economica e dagli sbalzi dello spread, al di sopra dell'euro e del rischio bancarotta degli stati, basterebbe lo Statuto per vivere felici e contenti, nei secoli dei secoli

di Pierangelo Giovanetti

 C aro Direttore, con quello di domenica 29 luglio, sono due gli editoriali «pesanti» con i quali lei prende posizione sulla necessità di rivedere le relazioni, in particolare finanziarie, fra Regione e Province Autonome e lo Stato. «Urge un nuovo Statuto» titola il suo secondo intervento, e il motivo sarebbe il superamento delle norme che regolano la ripartizione delle risorse fra Province e Regione e Stato. Per la verità già le norme attuali prevedono la partecipazione di Province e Regione agli sforzi straordinari di risanamento della finanza statale. Non v'è necessità di cambiare Statuto per questo. Semmai v'è da rispettarlo: è legge costituzionale dello Stato e ad esso deve rispetto il Governo, come pare abbia accettato di fare in extremis, in sede parlamentare di conversione del decreto.
Un giornale che fa parte da molti decenni della comunità trentina dovrebbe esprimere le ragioni di questa, non dare per concesso che il Governo possa violare le norme statutarie vigenti. Deciso e fortemente apprezzabile è stato ed è l'impegno de l'Adige di denunciare le occasioni di un cattivo uso del denaro pubblico specie da parte di Provincia e Regione, ma ciò non può tradursi in legittimazione di comportamenti governativi di violazione delle regole con le quali lo Stato, con legge costituzionale e con norme di forza paragonabile, come quelle di attuazione, ha deciso, anche a seguito di impegni internazionali, di regolare le dotazioni finanziarie di Regione e Province. All'uso non congruo del denaro pubblico si deve ovviare modificandone l'impiego. Non v'è diritto governativo a «castigare».
Anche le sue valutazioni sulla Svp mi sembrano ingenerose. Nei dodici anni della mia esperienza parlamentare ho sempre visto nella Svp il presidio più forte della nostra autonomia, e non solo perché in alcune circostanze i suoi pochi voti erano decisivi per la maggioranza, ma soprattutto perché rappresentava compattamente la più forte minoranza etnico-nazionale, diventata tale solo per un sopruso a seguito di una guerra di conquista, che oggi non sarebbe in alcun modo più legittimata e che, proprio per questo, ha ottenuto, con accordo internazionale, la speciale autonomia, il cui rispetto trova garanzie in sede ONU alla Corte di Giustizia de L'Aia. Ricordo il peso che Austria e Germania hanno avuto nel far correggere i tentativi del primo governo Berlusconi di non rispettare le prerogative autonomiste. Perché permettersi di irridere all'efficacia di tale garanzia? Cosa avrebbe dovuto fare la Svp a Roma? Votare la fiducia al Governo Monti che si è permesso, nel suo decretare, di violare le norme statutarie e di attuazione? È stato un gesto coerente non votare la fiducia, e nulla importa se nel negare la fiducia vi erano anche partiti con i quali la Svp non ha comunanze.
Infine, come noto, ho fatto parte delle delegazione parlamentare trentina e una dialettica interna vi è sempre stata. Vero è che Dellai ci convocava una due volte per legislatura e poi si muoveva in modo indipendente, limitandosi in alcuni casi a far avere emendamenti da presentare. La sua fama nazionale di abile politico lo aiutava. Sinceramente non direi, però, che i parlamentari trentini abbiano demeritato, anche se non hanno contato molto; un Degasperi, un Piccoli, uno Spagnolli, trentini a Roma, non si trovano facilmente e non si costruiscono a tavolino. Per contare a Roma bisogna essere in un partito importante e svolgervi un ruolo importante; questo dipende non solo e spesso assai poco dalle qualità personali, ma dipende per lo più dal numero di iscritti al partito che il parlamentare può influenzare; e questo numero è grande di solito nelle grandi regioni. Conta poi vivere a Roma tutta la settimana o quasi, avere là il centro delle proprie relazioni, scelta difficile per chiunque. Giusto, quindi, rilevare gli errori di Dellai, delle forze politiche trentine e della delegazioni parlamentare, ma credo che la «debolezza» politica del Trentino abbia soprattutto altre ragioni.
Caro Direttore, la realtà è più dura di quanto si creda e si regge, alla fine, su rapporti di forza. Per questo la forza del Trentino sta più nella resistenza, con ogni mezzo, a uno Stato accentratore da parte dei trentini che in altro. Se siamo disuniti, perdiamo forza. Se accettiamo comunque quanto lo Stato fa, colpevolizzandoci, perdiamo forza. Critichiamo chi fa errori, ma prima di tutto difendiamo la nostra autonomia, la cui componente economica è decisiva!
 Renzo Gubert


Se il Trentino fosse un mondo a parte, fuori dall'Italia e dall'Europa, escluso dalla crisi economica e dagli sbalzi dello spread, al di sopra dell'euro e del rischio bancarotta degli stati, basterebbe lo Statuto per vivere felici e contenti, nei secoli dei secoli.
Purtroppo il Trentino fa parte dell'Italia e dell'Europa, e se l'Italia va in default e non riesce più a pagare le pensioni, le tredicesime e gli stipendi agli statali, anche il Trentino sprofonda, al pari delle regioni a statuto ordinario e di chi l'autonomia non ce l'ha.
Fare finta di non vedere questo, dicendo «Noi tanto abbiamo l'Autonomia», può farci sognare ad occhi aperti, ma non ci evita il baratro.
Il Trentino, quindi, al pari del resto dell'Italia e dell'Europa (forse del mondo, viste le assillanti attenzioni di Obama sugli sviluppi della crisi europea), dovrebbe essere quindi preoccupatissimo di questo, mettendo in campo tutto quanto è possibile per evitare il patatrac, facendo fino in fondo la propria parte. Come quando la casa s'incendia, e tutti s'attivano per spegnere il fuoco.
Di fronte alla crisi peggiore dell'ultimo secolo, alla recessione economica come ai tempi della guerra, al rischio quotidiano di finire come la Grecia, rispondere che non c'importa nulla perché noi abbiamo lo Statuto, non solo non ci è di alcun giovamento di fronte al precipizio, ma ci rende ancora più odiosi e invisi al resto degli italiani. E siamo già ben oltre il livello di guardia.
Un giornale profondamente radicato in questa terra come è l'Adige, che l'Autonomia ce l'ha nel sangue e mai s'è tirato indietro nelle battaglie per il Trentino e per il popolo trentino, ha il dovere di dire questo. Non certo quello di cullare irresponsabilmente i trentini in ovattate illusioni, che tanto a noi il debito pubblico non ci tocca. Dire le cose come stanno è voler bene al Trentino, e difenderlo da incerto futuro.
A Vienna come all'Aia queste cose le sanno bene, come sanno anche che un po' più di sobrietà nella spesa pubblica (anche in Trentino Alto Adige) non uccide certo la minoranza sudtirolese, e non viola in alcun modo i trattati internazionali. Solo la Volkspartei, che in questi anni ha fatto propri il peggio dei comportamenti furbeschi degli italiani, fa finta di non saperlo. E purtroppo oggi nel Parlamento italiano tutti se ne sono accorti, e l'Svp non ha più alcuna credibilità politica.
Degasperi (ma anche Piccoli, Spagnolli, la Conci, e pure grandi personaggi dell'opposizione come Renato Ballardini) l'Autonomia l'hanno difeso a Roma, non chiudendosi nel fortilizio di Trento, gridando «Al lupo, al lupo». Quella era classe dirigente, che ha fatto grande il Trentino. E che ha saputo anche rinnovare lo Statuto, quando non era più ai passi coi tempi.
 p.giovanetti@ladige.it

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