Orribili neologismi  del politicamente corretto

Più che seguire le mode del momento, sarebbe opportuno tornare ad usare il dizionario per declinare le parole, e non il prontuario delle «pari opportunità» (non so cosa risponderebbe la signora Sussana Camusso, se i giornali cominciassero a chiamarla: «la segretaria della Cgil»?). Perché altrimenti, di orrore in orrore, bisognerà maschilizzare il farmacista e il vigile, trasformandoli in mostruosi «farmacisto» o «vigilo». Fermiamoci fin che siamo in tempo

di Pierangelo Giovanetti

Egregio direttore, prendiamo spunto da alcuni articoli apparsi nelle ultime settimane sull'Adige in tema di politica nazionale per richiamare l'attenzione del suo quotidiano e dei suoi lettori su una questione riguardante le pari opportunità.
Non possiamo fare a meno di notare che - soprattutto per le professioni storicamente appannaggio degli uomini – i sostantivi maschili vengono preferiti agli equivalenti femminili, nonostante una corretta applicazione delle regole grammaticali imporrebbe concordanza tra articoli, aggettivi e sostantivi ed il genere di riferimento.


Senza addentrarci nelle ampie considerazioni sulla formazione del contesto socio-culturale del nostro Paese, è evidente che la mancata valorizzazione delle differenze di genere ha portato anche alla diffusione di forme di espressione grammaticalmente scorrette. Perché se a capo del Ministero del Lavoro vi è una donna, non parliamo di lei come «la ministra»?
Carta stampata e linguaggio corrente sembrano ignorare la domanda, spesso adottando formule di stile fraintendibili: «il ministro Fornero» agli occhi di un lettore poco informato sulla politica italiana si propone come un uomo.


Complice un recente convegno dal titolo «Avvocata/o: lingua di genere e linguaggio giuridico» organizzato dal Comitato Pari Opportunità presso il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Trento, avvertiamo l'esigenza di precisare che per una donna che esercita la professione di avvocato la lingua italiana conosce il termine «avvocata»; così come esistono la sindaca e la maestra, la dottoressa e l'operaia, l'assessora e, per l'appunto, la ministra.

 

In quanto professioniste donne - desiderose di essere riconosciute tali - avvertiamo oggi il bisogno e l'importanza di promuovere un cambiamento che in fondo non è solo formale: forse che una ministra goda di minor prestigio del collega uomo? Si pensi che in Germania, la neo eletta Cancelliera Angela Merkel ha preteso ed ottenuto l'introduzione del sostantivo femminile «Bundeskanzlerin», prima addirittura sconosciuto nella lingua tedesca.


Riteniamo che questa diversa sensibilità debba essere coltivata in primis dalle donne, con il supporto dei mezzi di informazione per il loro indiscusso ruolo nelle trasformazioni culturali. Qualcuno deve pur iniziare...


La mania di leggere tutto in chiave sessista e bisognosa di pari opportunità fa compiere abomini arbitrari e intollerabili sulla lingua italiana, scardinandone le forme e la regola, con l'introduzione di orripilanti neologismi, ma anche inesistenti femminili e maschili «politicamente corretti».

 

Tra i casi di parole geneticamente modificate talora spiccano per insensatezza le declinazioni al femminile di termini neutri con desinenza in «o» (simil-maschile): sindaco che viene trasformato in un cacofonico e arbitrario «sindaca»; direttore che passa ad un disdicevole «direttora» (quando esiste il corrispettivo più consono «direttrice»); rettore che finisce, se donna, per venir storpiato in «rettora». Non si usa ancora il termine «pretessa» come corrispettivo femminile di prete, perché la Chiesa cattolica non ha per ora ammesso il sacerdozio femminile. Ma c'è da aspettarsi di tutto.


Si tratta, per lo più, di manipolazione ideologica, che non ha nulla a che vedere con la lingua italiana e con il bello stile. Si sentono (e, ahinoi, si scrivono) termini tipo: corridora, governatora, ministra (a quando parlamentara?). Forse si finirà per esigere il «politically correct» anche per termini neutri come uccello, lepre, cantante, inventando inesistenti femminili con uccella, lepra, cantanta.


Più che seguire le mode del momento, sarebbe opportuno tornare ad usare il dizionario per declinare le parole, e non il prontuario delle «pari opportunità» (non so cosa risponderebbe la signora Sussana Camusso, se i giornali cominciassero a chiamarla: «la segretaria della Cgil»?). Perché altrimenti, di orrore in orrore, bisognerà maschilizzare il farmacista e il vigile, trasformandoli in mostruosi «farmacisto» o «vigilo». Fermiamoci fin che siamo in tempo.

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