Rai, corpo stanco che non è più specchio del Paese

Lo scontro sul Cda della Rai voluto dal più grande editore privato. Ma ormai la Rai è solo un'azienda fuori dalle grandi trasformazioni dei media, con giornalisti come Paola Ferrari che querela Twitter perché i suoi utenti l'hanno presa in giro. E la rete la spernacchia.

di Fabrizio Franchi

 

Attorno al consiglio d’amministrazione della Rai si è consumata una delle guerre politiche più incredibili di questi ultimi mesi, con gaffe non da poco, come quella del presidente del Senato Renato Schifani che ha sentito subito il richiamo della foresta e di chi comanda, sostituendo prontamente Paolo Amato, membro della commissione di Vigilanza reo di voler dimostrare autonomia dal suo partito, il Pdl, e dal suo padrone, Silvio Berlusconi. Schifani così ha eseguito gli ordini del più grande editore - privato - che non poteva rischiare di perdere la maggioranza nel consiglio d’amministrazione della più grande azienda editoriale - pubblica. Evidentemente, dopo tanti anni, quel fastidioso brufolo che si chiama conflitto di interesse non è ancora stato eliminato.

Ma quel che più stupisce, nel 2012, è vedere come si scateni una guerra attorno alla televisione pubblica, in un mondo dei media che è in una fase di profondissima trasformazione e che sta rimettendo in discussione posizioni consolidate. La Rai, quella Rai delle estati spente, con il ventilatore a dare refrigerio, ma soprattutto quella Rai con le repliche televisive mandate a ogni ora come fosse una tv da televendita di tappeti qualsiasi, quella Rai della noia che da anni non sa più essere specchio del Paese, è sempre al centro degli appetiti dei partiti, in particolare di centrodestra. Partiti che dimostrano insomma di essere fuori dal mondo perché scatenano lotte di potere su un corpo che è in agonia, zavorrato di debiti e di personale, di dirigenti, di consulenti e di veline.

Una volta si diceva che quello che succedeva in Rai anticipava quello che stava per succedere nel Paese. Oggi quello che succede in Rai è in una dimensione parallela, un mondo di gomma impermeabile che non sa cogliere quello che avviene nelle altre televisioni italiane e del mondo, che hanno saputo adeguare la narrazione della vita di un Paese ai ritmi dettati dai tempi. 

Basterebbe come esempio il racconto dei campionati europei di calcio, in cui registi e cronisti non hanno saputo fare tesoro del nuovo modo di raccontare lo sport più bello del mondo che ne fanno altre televisioni. Non solo. Parliamo di personaggi che antepongono sempre loro stessi all’evento che presentano, come se fossero loro lo spettacolo.

Il paradigma è rappresentato in queste ore da Paola Ferrari, che dopo averci stucchevolmente infastidito nei post partita degli Europei, ha deciso di querelare Twitter per le critiche che ha ricevuto. Badate: non ha querelato una persona in particolare, ma tutto il social network, ossia il media su cui viaggiavano queste presunte offese, in particolare sui suoi “presunti” - sostiene lei - rifacimenti estetici. E già si è scatenato il dileggio nei suoi confronti,  basti vedere Spinoza.it o lo stesso Twitter dove con l’hastag #QuerelaConPaola la rete si è scatenata a farle una pernacchia. Del resto questi sono i giornalisti Rai: donne di spettacolo, che credono che Twitter sia una testata giornalistica registrata in tribunale. Nient’altro che pernacchie poteva aspettarsi una che pensa di querelare il telefono perché ci sono aziende che ti rompono la sera a casa per offrirti contratti stralunati.

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