La truffa del lavoro a domicilio

di Gloria Canestrini

“ Seria azienda affida lavoro confezione collane. Ottimo guadagno. Ditta Regina”.
Nicoletta guarda il numero  di telefono riportato sull’annuncio  ( il prefisso le è ignoto)e le si accende la speranza. Un lavoro. Un lavoro a casa che le permetta di tenere contemporaneamente con sé la bambina di pochi mesi. I soldi per la baby sitter non li ha di certo: questa può essere la soluzione a lungo cercata.
Nicoletta è separata da poco, non sa a chi chiedere consiglio. Esita un po’, ma poi si fa coraggio e telefona.


Trascorre qualche giorno. Nicoletta aspetta  la risposta e, ogni tanto, rimugina tra sé: il nome “Ditta Regina” le è sembrato un tantino pretenzioso… La mattina in cui lo vede stampato in corsivo dorato  sulla busta che le è appena arrivata a casa, l’impressione iniziale si fa  ancora più forte: ma lì, dentro in quella busta, c’è davvero un piccolo tesoro. A prima vista, sembra un contratto di lavoro.
Il foglio recita: “Ditta Regina, creazioni di bigiotteria artistica lavorata a mano. Oggetto: ricerca collaboratori esterni. La Ditta Regina è disposta ad affidare il materiale per la produzione di collane ed articoli di bigiotteria alla Signora Nicoletta T., che accetterà di lavorare autonomamente presso il proprio domicilio alle seguenti condizioni….”


Nicoletta legge in fretta le modalità di consegna del lavoro, le formule e i tempi di spedizione,e corre alla parte che le interessa: quella del compenso. Ma non c’è! O, meglio, viene demandata al contratto vero e proprio, da sottoscrivere, dicono,  successivamente: per ora, al punto 4, c’è solo un breve accenno a un deposito cauzionale:” …a parziale garanzia del materiale che la Ditta affiderà alla lavorante preso il suo domicilio, questa dovrà versare un deposito cauzionale di Euro 5,00 per ogni pezzo da confezionare, solo una volta, all’inizio del rapporto lavorativo. Verranno spedite  n. 20 collane presso il suo domicilio: pertanto la somma da inviarsi quale deposito cauzionale, ammontante  ad euro 100,00, è da versarsi a mezzo bollettino postale…eccetera.Tale somma verrà interamente rimborsata qualora il rapporto di lavoro dovesse cessare…”. Nicoletta legge con attenzione, le sembra una buona occasione. Non le appare strano che sia ben specificata la cifra del deposito cauzionale e che invece manchi ogni riferimento alla retribuzione, per quanto futura. C’è un foglio allegato che recita: ” Allego fotocopia del versamento effettuato. Per accettazione e firma…” Ecco: è lì che deve firmare.


Al rientro dall’ufficio postale, la bambina reclama la pappa.  Nicoletta  fa appena in tempo a chiudere la busta.  Un momento! Ha dimenticato la fotocopia: no, non ce l’ha , la fotocopia del bollettino pagato.Beh, tanto vale infilarci la ricevuta  del versamento appena fatto, anche se è l’originale. Chi ha mai il tempo di tornare in centro a fare fotocopie, magari con la bambina  appresso? D’altra parte, quella lettera deve essere spedita al più presto. L’ha già affrancata, basta portarla alla bussola all’angolo!


Così inizia l’avventura di Nicoletta. Dopo qualche giorno, arriva il fattorino con il pacco. Lei  versa contrassegno altri  ventisette  euro. Dentro, trova  una collana  di plastica e di stoffa già confezionata, e una “da montare”. Nicoletta è euforica: in pochi minuti, osservando la collana di esempio, mette insieme i pezzi dell’altra. Non le sembrano di gran pregio, quelle collane. Materiali a parte, nemmeno il design è accattivante: ma tant’è, probabilmente la “Regina” punta sul numero, più che sulla qualità.


Passano i giorni, altri pacchi non ne arrivano. Nicoletta scrive alla Ditta Regina (ora anche il nome le sembra fasullo, come i gioielli), senza ottenere risposta.
Regina effettivamente lo è, ma della truffa. Nicoletta infatti apprende presso l’Associazione dei Consumatori  dove si è rivolta dopo molte inutili richieste di chiarimenti alla Ditta, che sono ormai centinaia le donne raggirate, come lei.
La accompagnano in Procura: un funzionario gentile la invita a presentare un esposto. Poi le dice che le Procure interessate si terranno in contatto tra loro, per scoprire la portata del fenomeno a livello nazionale e per tentare di bloccarlo.
Già: il fenomeno. Quello di imbrogliare chi ha bisogno di un lavoro  a casa, chi non ha nemmeno la più comune delle garanzie: il sostegno e la solidarietà dei compagni di lavoro.

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