Il conflitto di interessi tra frutteti e Imu

di Renzo Moser

Dalle frequenze televisive ai trattamenti dei frutteti, dall’Iva sulle pay tv alle distanze minime tra campi e abitazioni: nel paese che ha eletto il conflitto di interessi a vero e proprio metodo di governo, il caso del «Regolamento per l’utilizzo di prodotti fitosanitari in prossimità di centri abitati e di abitazioni», suggerito, per così dire, dalla Comunità di valle della Val di Non ai singoli Comuni, apre spiragli interessanti, e forse inediti, nel più generale dibattito sul ruolo degli stessi enti intermedi. Dibattito ridotto, un po’ superficialmente, alla contrapposizione tra la furia abrogazionista della Lega Nord, legittimata dalla trionfale campagna di raccolta firme per lo sbocco referendario, e la resistenza incondizionata della maggioranza che governa la Provincia e che quelle Comunità ha voluto.
Lo scontro in atto in val di Non, invece, è molto più terra terra. Letteralmente, visto che della salute della terra, e dei suoi abitanti, si tratta. Ma è uno scontro che appare destinato a ripetersi, mutando contesto e merito del contendere, con una certa frequenza, se è vero che tra gli obiettivi principali della riforma istituzionale c’è anche quello di decentrare un volume crescente di decisioni dal «centro provinciale» alla «periferia territoriale».
Poco più di un anno fa, la Conferenza dei sindaci della val di Non diede mandato alla Comunità di seguire la messa a punto di uno schema di «regolamento tipo» che disciplinasse la delicata e controversa materia dei trattamenti antiparassitari in campo agricolo. Il compito venne affidato al Consiglio per la salute, composto dai sindaci della valle e dal presidente della Comunità di valle di riferimento. Come è noto, quella bozza di regolamento è infine venuta alla luce, e la Comunità di valle, come già accennato, ne ha suggerito l’adozione ai singoli comuni. Suggerito perché la Comunità non può imporre quel regolamento, che infatti non è stato propriamente adottato, né con una delibera della giunta né con una delibera dell’assemblea. La competenza in materia spetta ai singoli Comuni e non alla Comunità, che si è limitata, per usare le parole del presidente Sergio Menapace, nella risposta ad una interrogazione a suo tempo presentata dal gruppo consigliare di minoranza Sae (Salute Ambiente Economia), a svolgere «un ruolo di regia e di impulso su una tematica che interessa l’intero territorio di Valle».
Non sfugge però, nemmeno agli osservatori più distratti, che lo stesso presidente della Comunità di valle è, potremmo dire, parte in causa, in quanto iscritto all’Albo provinciale degli imprenditori agricoli e socio di una cooperativa agricola attiva proprio in val di Non, nonché responsabile dell’ufficio agricolo periferico di Cles della Provincia.
In quanto tale, potrebbe trarre indubbi vantaggi dall’adozione di una normativa meno restrittiva nell’uso degli atomizzatori.
Ecco allora che il ruolo stesso della Comunità in questa vicenda, per alcuni una semplice «regia», per altri una indebita ingerenza, assume un peso non trascurabile proprio in relazione a un potenziale conflitto di interessi.
Sulla questione si è peraltro espresso con molta chiarezza il Servizio autonomie locali della Provincia, investito del problema dagli stessi consiglieri di minoranza: «In ordine ai rilievi alla procedura seguita per l’adozione del regolamento in questione, occorre evidenziare che l’atto, “adottato” dal Consiglio per la salute e proposte ai consigli comunali non costituisce propriamente uno schema di deliberazione, ragione per cui non possono essere mossi (...) quei rilievi che invece sarebbero pertinenti a proposito della regolarità dell’iter di una deliberazione di organo collegiale».
Più in dettaglio, sul presunto conflitto di interessi del presidente, si ribadisce che «non si ritiene di poter ravvisare ragioni di incompatibilità nella partecipazione alla elaborazione della proposta da parte del presidente della Comunità di valle per la sua attività di imprenditore agricolo».
A sistemare la questione, insomma, è un fatto di per sé banale: quel regolamento non è stato deliberato da un organo collegiale. È una bozza, «suggerita» ma non imposta ai consigli comunali. È in quest’ultima sede, scendendo di un ulteriore livello amministrativo, che le cose diventano più interessanti e che il conflitto di interessi, da potenziale, rischia di diventare reale. E di farsi paradigma di situazioni che potrebbero ripresentarsi, ad esempio in materia di programmazione urbanistica ovvero di gestione del territorio ovvero, come vedremo, in materia fiscale.
Il «suggerimento» della Comunità di valle, dunque, dovrà essere vagliato, ed eventualmente approvato, dai singoli consigli comunali. I quali vantano sì la potestà regolamentare, ma allo stesso tempo devono rispettare una normativa piuttosto stringente proprio in materia di conflitto di interessi, che ne può condizionare, anche pesantemente, la discrezionalità nel deliberare sulle materie di competenza.
È sempre il Servizio autonomie locali della Provincia a venirci in aiuto, nella risposta ai quesiti posti dai consiglieri di Sae, quando spiega che «ove i consigli comunali accogliessero l’invito della Comunità e accettassero di deliberare in merito, l’obbligo di astensione in capo ai singoli consiglieri comunali andrebbe attentamente valutato», alla luce di quanto previsto dalla legge, nel nostro caso dal Testo unico delle leggi regionali sull’ordinamento dei Comuni della Regione Autonoma Trentino Alto Adige. Si tratta di un’astensione obbligatoria, «correlata all’esigenza di garantire che la formazione della volontà sia scevra da pressioni e condizionamenti, anche non intenzionali (non ci deve essere per forza malafede, ndr) causati da membri dell’organo che siano portatori di interessi individuali». A ulteriore conferma, il Servizio autonomie locali ricorda una sentenza del Tar che richiamava le condizioni di «serenità e obiettività» come indispensabili per perseguire il bene pubblico. A questo punto dobbiamo chiederci quanti consiglieri comunali della valle potranno contare su «serenità» e «obiettività» quando saranno chiamati a esprimersi (molti lo hanno già fatto: 15 consigli comunali su 38, come abbiamo riferito ieri sulle pagine della val di Non) su un regolamento che allarga le maglie della normativa sui trattamenti antiparassitari. Se lo dovranno chiedere, soprattutto, e vigilare in tal senso, le rispettive comunità municipali, gli elettori che hanno deciso di farsi rappresentare da quelle donne e da quegli uomini, legittimamente eletti.
Nel caso specifico, sottolinea ancora una volta il Servizio autonomie locali, «una materia quale il trattamento degli alberi da frutto, e in particolare la disciplina dell’utilizzo di prodotti fitosanitari in prossimità di centri e abitazioni appare idoneo a configurare una tensione della voluntas da parte di quei consiglieri che esercitino - a qualsiasi titolo - attività agricola».
Ma nella medesima situazione ci si troverà, per esempio, quando i consigli comunali, questa volta di tutto il Trentino, dovranno decidere se azzerare o meno l’aliquota Imu sui fabbricati rurali: una possibilità garantita da una nuova norma, come ha anticipato proprio l’Adige nei giorni scorsi. Il presidente del Consiglio delle Autonomie, Marino Simoni, ha già fatto sapere che cosa ne pensa: «Credo che la val di Non applicherà la nuova legge per fare un favore agli agricoltori». Soprattutto se a decidere saranno questi ultimi, in veste di consiglieri. Sereni sicuramente, obiettivi forse un po’ meno. Il risultato sarà che non avremo condizioni omogenee per l’attività agricola su tutto il territorio provinciale (pensiamo al caso di Malosco, che ha deliberato in maniera nettamente più restrittiva).
Il rischio d’impresa non sarà uguale per tutti, visto che ci saranno contadini chiamati a pagare un’imposta mentre altri saranno «graziati», magari solo perché ben rappresentati in un consiglio comunale. Non sarà garantita, insomma, una libera concorrenza tra imprese. Quella concorrenza che il legislatore provinciale dovrebbe garantire, senza preferenze dettate da pressioni e condizionamenti di lobby e potentati locali, destinate a pregiudicare l’interesse generale.

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