Quando i pendolari avevano le code50 anni all'inferno e (forse) ritorno

di Vittorio Colombo

Vado ad entrare in luglio da impenitente “ripetente”, nel senso che battere un chiodo risaputo e logoro, spesso e volentieri, può provocare assuefazione. E quel senso di “già visto e già sentito, e allora…”.

Ma, considerato che il tragitto Riva Rovereto, o quello in senso contrario,  è un calvario sempre più doloroso, io il chiodo lo ribatto. Alla faccia di chi mi vuol male. Perché tutti, chi più chi meno, in questi ultimi giorni ha provato che cosa significa  partire per affrontare i venti chilometri della sofferenza.

Non ci sono più, come una volta, sconti  od ore critiche; oggi la coda la trovi a qualsiasi ora, al mattino, al pomeriggio, alla sera. Appuntamenti che vanno in fumo, disagi, problemi anche gravi, come quelli legati alla salute o al lavoro.

E allora è giusto far sentire quanto sia estenuante e mortificante entrare nel tunnel dei progetti, delle promesse e delle proposte, che cambiano di giorno in  giorno. Di ora, in ora.

“Verrà, un bel giorno, Metroland, che da Rovereto porterà dritti ad Arco”. A parte i tempi futuribili che sono un paracadute per tecnici, politici ed amministratori dubbiosi e divisi, perché ad Arco? E Riva?, e il nodo infernale di Torbole?.

Bene ha fatto il sindaco Civettini a dire che si deve tornare alla circonvallazione per salvare Torbole e al tunnel che dovrebbe portare al "Cretaccio": sembrava una soluzione condivisa. Ora non  lo è più.

Un saggio mi ricordava che nel 1966 vennero fatti i pilastri sull’Adige, si partiva…  poi, dopo la sollevazione che bloccò tutto Mori accetto la bretella che oggi è una delle poche realtà del tormentato quadro complessivo. Oh, dai pilastri che erano i simbolo dell’inizio della nuova era, la promessa di una viabilità moderna per il Basso Trentino, è passato mezzo secolo.

Non si parla più di anni, oramai, ma di secoli. Così è, anche se non vi (ci) pare. Dobbiamo rassegnarci? Ma stare zitti non si può.  

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