La Lega finge di essere unita, ma la resa dei conti interna si avvicina

di Fabrizio Franchi

Partirono per Pontida, prendendo sole epioggia e fango lombardo nelle scarpe, quel fango che si incrosta enon togli se non a fatica. Hanno ascoltato Bossi, gli hanno gridatoin faccia che non gli piaceva quello che gli stava riproponendo,hanno firmato per portare i ministeri alla Villa Reale di Monza, cheperò è già stata destinata ad altri uffici. Hanno ascoltato levelate minacce a Berlusconi e ora con che cosa si ritrovano, gliindomiti di Pontida? Con nulla. Nemmeno i ministeri, ma solo deiridicoli uffici di rappresentanza. Altro che la secessione.

Insomma, viene voglia di metterla sulridere, perché altrimenti ci sarebbe da piangere, con un partito cheda vent'anni parla di Roma ladrona e poi a Roma ci si è accucciatobene, con deputati che hanno doppi e tripli incarichi e altri chehanno doppi e tripli vitalizi. Con un partito che ha raccolto le suetruppe a Pontida per ascoltare un leader vecchio, stanco, minato nelfisico, che domenica scorsa faceva fatica ad articolare una frasecompleta e per non dare la sensazione di essere troppo in difficoltà,ogni tanto infarciva le sue parole strascicate con “Padanialibera”, aggrappandosi al palchetto degli oratori con la manodestra per non perdere l'equilibrio.

Chi ha ascoltato interamente il suodiscorso si sarà chiesto: “Che cosa vuole dire? Che cosa vuolefare?” Ormai Bossi è diventato come quei tanto vituperatidemocristiani, con un linguaggio che allude, che vuole fare capire,ma non del tutto. Con frecciate, ma anche rabbonimenti: “Berlusconistai attento, non ti appoggiamo più!.... Però senza di te torna lasinistra....” Avanti così, senza una linea netta e chiara. Unparadosso per chi aveva fatto del linguaggio duro e diretto la suacifra stilistica. E poi, come a confermare quello che hanno scritto igiornalisti, sul palco portava tutto il suo “cerchio magico”: iltrota suo figlio, Rosi Mauro, Cota, Castelli. Senza una ragioneparticolare che indichi il motivo di certe preferenze, se non che –eccetto Maroni – sono tutti suoi fedelissimi.

Tutte cose che hanno scritto da tempo igiornalisti che lui con la sua consueta finezza e trasparenza hadefinito in pochi minuti di discorso “coglioni, stronzi, lecchinidi Roma”. Parole sue. Ma restano i fatti. I giornalisti sarannoanche un po' pirla, ma spesso vedono bene che cosa succede. La Legaoggi imputa a un imprecisato “potere” quelle che invece sono lesue incapacità di governo, le sue incapacità di leggere dentro lamodernità e i processi sociali.

Più si affaticherà Bossi, piùinvecchierà, più cresceranno le tensioni interne per lasuccessione. I dirigenti del Carroccio si affannano a tirare su veliper nascondere questa realtà, ma ormai ci stiamo avviando verso laresa dei conti. Maroni si sta organizzando con le sue truppe. Ileghisti veneti sono sempre più in rotta con quelli milanesi e iloro comportamenti. Mercoledì sera c'è stato il primo assalto aBossi – fallito - nel tentativo di cambiare il capogruppo allaCamera. Le tensioni si ripresenteranno, anche se adesso per qualchetempo li sentiremo ripetere la litania che “la Lega è diversa, èunita, ha un solo capo, noi non vogliamo cadreghe”. Quelle a direla verità speriamo proprio di no, perché ne hanno ottenute anchefin troppe. Ma le tensioni ricominceranno. E inevitabile. E' nellastoria dei partiti. Nemmeno nel Pcus di Stalin tutti la pensavanoallo stesso modo, nemmeno nel partito fascista di Mussolini eranotutti d'accordo. Nemmeno nel Partito comunista italiano – che hasempre negato l'esistenza di correnti interne – c'era l'unanimità.E' la storia di ogni comunità che lo dimostra. Non esiste mail'unanimità in nessun consesso e men che meno all'infinito. E cosìsarà nella Lega. E per fortuna, vien da aggiungere.  

comments powered by Disqus